mercoledì 1 ottobre 2014

Il caso di Reihaneh Jabbari

Reihaneh durante un'udienza del processo
 

di Ali Reza Jalali

 

Negli ultimi giorni si è parlato molto sui principali media italiani del caso di Reihaneh Jabbari, giovane iraniana di 26 anni condannata nel suo paese alla pena capitale per il reato di omicidio, crimine commesso qualche anno fa ai danni di un uomo più anziano di lei.

Il caso è abbastanza complesso; la vicenda nasce da un incontro occasionale tra Reihaneh e la sua vittima in una gelateria. Il dott. Morteza, medico di circa 47 anni, sposato con figli, casualmente sente la ragazza parlare al telefono con qualcuno. Reihaneh discute del suo lavoro, ovvero quello di designer d’interni; guarda caso Morteza sta cercando proprio un designer in quanto è intenzionato a modificare l’arredamento del suo studio privato.

A quel punto Morteza si presenta alla sconosciuta Reihaneh ed espone il suo caso alla ragazza, chiedendole una consulenza in loco. Dopo qualche giorno i due – dopo aver fissato un appuntamento – si incontrano nello studio privato del dott. Morteza, per procedere ai lavori preliminari.

Reihaneh racconta la vicenda nel seguente modo: “Sono entrata nella sua stanza. Io avevo tenuto la porta semiaperta, ma Morteza mi ha invitata a chiudere la porta e a togliermi il velo. Io mi sono rifiutata e al mio rifiuto il medico si è precipitato a chiudere la porta. Poi si è avvicinato a me tentando un approccio, ma io ho nuovamente rifiutato. Non appena Morteza si era girato ho preso un coltello che avevo nella borsa e l’ho accoltellato da dietro. Sentendo le urla “Sh.” (persona non specificata) è entrato/a nella stanza aprendo la porta da fuori e spaventato/a mi ha detto cosa hai fatto?, scappando di fretta, prelevando prima alcuni fogli dalla cucina dell’appartamento (studio del dott. Morteza, n. d. r.). Successivamente anch’io sono uscita dall’appartamento.”

Nelle investigazioni subito dopo l’omicidio la polizia ha rinvenuto sul luogo del fatto due bicchieri con del succo di frutta, uno dei quali con dentro del sonnifero, oltre a una confezione di preservativi. L’accusa formulata dalla magistratura nei confronti di Reihaneh fu da subito omicidio intenzionale premeditato, scartando la scusante della legittima difesa. In Iran il reato di omicidio intenzionale è punito con la pena capitale a meno che la famiglia della vittima non perdoni il reo, commutando così la pena nell’ergastolo, tralasciando casi straordinari.

Reihaneh e i suoi avvocati – nel caso il reo ha avuto due difensori che si sono succeduti – hanno chiesto di ottenere come scusante la legittima difesa da uno stupro. I legali hanno chiesto l’assoluzione di Reihaneh oppure quantomeno uno sconto sulla pena, ammettendo la possibilità che vi possa essere stata una reazione eccessiva del reo rispetto al pericolo potenziale di una violenza sessuale.

La magistratura nei vari gradi di giudizio ha sempre rigettato questa interpretazione, condannando la giovane alla pena di morte per omicidio intenzionale. Interessante notare la posizione dei famigliari della vittima. Essi si sono detti disponibili a perdonare Reihaneh, salvandole dunque la vita – al momento ciò sembra l’unica via di salvezza per la ragazza – solo se la giovane dica la verità riguardo ad eventuali altre persone che potevano essere con lei durante la colluttazione col dott. Morteza. I famigliari della vittima sospettano che la ragazza stia nascondendo qualcosa o voglia proteggere qualcuno.

L’avvocato di Reihaneh recentemente ha fatto delle dichiarazioni che hanno smentito in parte le affermazioni dei famigliari della ragazza. Secondo il legale, al contrario di quanto sostenuto dalla madre di Reihaneh sui social network – proprio da questa dichiarazione si è innestata la polemica che ha avuto risonanza nel mondo e anche in Italia negli ultimi giorni – la condannata non sarebbe ancora stata portata dalla prigione di Shahre-Rey, a sud di Tehran, a quella di Rajai-Shahr, dove secondo la mamma della ragazza sarebbe imminente l’esecuzione della pena.

Addirittura l’attuale avvocato di Reihaneh, la signora Parisa Qanbari, subentrata nel caso da qualche tempo, ha affermato che forse esistono in extremis dei margini per ottenere la grazia della famiglia del dott. Morteza Sarbandi, la vittima.

Non posso ovviamente prevedere cosa succederà, ovvero se la ragazza, come spero, possa ottenere la grazie dei famigliari della vittima, o se invece la sentenza verrà eseguita, ma in tutto ciò si nota come una normale vicenda giudiziaria come ce ne sono molte in tutto il mondo, con le sue complicazioni sia concernenti il fatto che il processo, sia stata trasformata in un fatto politico sulla tutela dei diritti delle donne in Iran. Vi ricordate di Sakineh?

Fu montato un caso mediatico per una donna che, detto sinteticamente, aveva ucciso il marito con la complicità dell’amante di lei. Insomma, si era riusciti a far passare una assassina, perché di questo si trattava, in una vittima dell’oppressivo regime maschilista dei fondamentalisti islamici iraniani.

Alla fine dopo alcuni anni di carcere, una lapidazione mai avvenuta – la donna aveva ammesso una relazione extraconiugale che in Iran per una persona sposata comporta la pena capitale, ma il problema è che anche l’amante, se sposato, rischiava la stessa cosa; per Sakineh una campagna mediatica mondiale, per l’amante nulla, un caso evidentemente di discriminazione mediatica occidentale contro gli uomini – la donna fu rilasciata e ora è una persona libera. Una assassina dichiarata, ma libera.

Il caso di Reihaneh, che ovviamente non ha nulla a che vedere con quello di Sakineh sia dal punto di vista fattuale che legale, sembra una riedizione delle solite campagne mediatiche volte a vilipendere la reputazione internazionale della Repubblica Islamica dell’Iran. Per carità, non entro nelle discussioni concernenti la violazione dei diritti umani laggiù, visto che è evidente la sconnessione del sistema iraniano da quelli che sono gli standard internazionali stabiliti da varie convenzioni e trattati internazionali, tutti comunque riconducibili in qualche modo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU – ovviamente anche qui ci si potrebbe chiedere il perché di una dichiarazione universale risultato sostanziale della visione del mondo solo di una parte del globo, quindi tutt’altro che universale; o per meglio dire universale dal punto di vista passivo (tutti devono sottostare a quei principi) e non da quello attivo (solo una parte della presunta “universalità”, ovvero il mondo occidentale e la sua visione dell’esistente, è alla base di questa Dichiarazione) – però rimane il fatto che un caso “normale”, un omicidio che secondo il reo è frutto di una legittima difesa, ma secondo l’accusa no e i giudici hanno dato ragione all’accusa, una vicenda come ce ne potrebbero essere a miriadi nel mondo, è sbattuta sulle prime pagine dei giornali senza alcun riferimento ai fatti e alla dinamica processuale, ma solo con nozioni emozionali per far presa sul lettore.

Spero sinceramente che Reihaneh possa salvarsi, a prescindere da sue eventuali colpe o da come stiano realmente le cose (è normale girare con un coltello nella borsa? Se è andata all’appuntamento con un coltello nella borsa perché aveva paura che potesse succedergli qualcosa, perché ci è andata da sola? Solo per accennare ad alcuni punti oscuri della ricostruzione fatta dal reo), ma questo giornalismo approssimativo è veramente disgustoso, con notizie false (addirittura su alcuni giornali c’è la notizia riguardante il fatto che le autorità avrebbero impedito alla ragazza di avere un avvocato), tutto questo rimarcare il fatto che precedentemente il dott. Morteza aveva lavorato per il Ministero delle Informazioni (servizi segreti, evidentemente essere dipendenti del Ministero non vuol dire “essere dei servizi”, altrimenti bisognerebbe dire che il portinaio del Ministero è uno “sbirro”) come se fosse uno del “regime” (il lettore ha l’impressione di avere a che fare con un “intrigo politico”), per non dire dell’unilateralità (sembra quasi che essendo Reihaneh una donna in un “regime islamico maschilista” abbia ragione a prescindere) della versione dei fatti: mai un accenno alla versione della famiglia della vittima.        

Ma forse sono io che ho troppe pretese, tanto da queste news dirittumaniste alle cronache di guerra, il filo rosso del giornalismo nostrano è sempre lo stesso: solo parzialità o faziosità, tertium non datur.  

 

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