martedì 23 settembre 2014

“La grande strategia dell’Impero bizantino” di Edward Luttwak


 

di Ali Reza Jalali  

 

“Tutti gli stati hanno una grande strategia, che lo sappiano o no. […] Tutti gli stati hanno una grande strategia, ma le grandi strategie non sono tutte uguali.” (1) Con queste frasi il noto stratega e analista politico statunitense Edward Luttwak, conosciuto anche qui da noi, si appresta a concludere il suo libro La grande strategia dell’Impero bizantino (Rizzoli, 2009), in cui affronta il tema concernente gli approcci utilizzati dall’Impero romano d’Oriente per riuscire in una impresa che ha dell’incredibile: rimanere in vita per più di un millennio – dalla morte di Teodosio I, ovvero quando avvenne la spartizione dell’Impero in una metà a ponente e un’altra a levante, nel 395 d. C. fino alla caduta della capitale Costantinopoli per mano dei Turchi ottomani nel 1453 – nonostante il fatto di non avere una potenza militare paragonabile all’Impero romano propriamente detto – crollato in Occidente molto prima – e la presenza ai confini di potentissimi avversari, come i Persiani sasanidi, le varie potenze islamiche arabe, iraniche o turche, i popoli della steppa di religione non musulmana, gli Unni, gli Avari o i Bulgari, per non parlare delle terribili invasioni mongoliche in tutta l’Eurasia.
 
Lungo i suoi mille anni di esistenza, secondo l’autore, l’Impero è riuscito a elaborare una complessa ed efficacie strategia che solo in una certa misura dipendeva dalla potenza bellica bizantina: il segreto della straordinaria longevità dello stato guidato dal Basileus sta infatti nella formidabile capacità di promuovere una azione diplomatica, volta a far combattere tra di loro i nemici dell’Impero, oppure a corrompere generali e politici del fronte nemico, sostenendo azioni di ammutinamento negli eserciti rivali o veri e propri colpi di stato. Un esempio lampante di come si concretizzava questa strategia è riscontrabile nel VII secolo, quando l’Impero bizantino era ormai sull’orlo del collasso con le truppe dell’Impero persiano sasanide alle porte di Costantinopoli. Ormai la guerra sembrava persa, ma grazie ad alcuni intrighi sofisticati i bizantini riuscirono a corrompere il generale persiano a guida delle truppe che avevano assediato la capitale, generale poi che nel giro di qualche tempo arriverà addirittura a promuovere un golpe militare contro il suo stesso Shahanshah, il Re dei re Cosroe II e la sua oligarchia, che dal 603 al 626 aveva conquistato tutte le province orientali dell’Impero bizantino, dall’Egitto alla Siria, fino a assediare la stessa Costantinopoli.
 
In una sintesi perfetta tra diplomazia volta a dividere il fronte interno dei persiani, alleanza con popolazioni turche dell’Asia centrale, che attaccarono i persiani da est, costringendo Cosroe a una guerra su un fronte che sembrava tranquillo, strategia militare difensiva – i bizantini avevano eretto dal IV secolo una formidabile fortificazione per la loro capitale – e un’ottima controffensiva in profondità, addirittura fino alle vicinanze di Ctesifonte (nei pressi dell’odierna Baghdad), capitale dell’Impero persiano sasanide, i bizantini guidati da Eraclio salvarono l’Impero dal crollo, costringendo i persiani alla ritirata. Un altro esempio di grande strategia attuata dai bizantini risale al periodo delle invasioni mongoliche, che portarono alla devastazione di interi territori, dalla Cina all’Europa orientale, passando per la steppa eurasiatica e tutto il Medio Oriente. Dal XIII secolo in poi, i bizantini per evitare un confronto diretto con le truppe di Gengis Khan e dei suoi eredi, elaborarono una strategia “matrimoniale”.
 
Il Basileus decise infatti di dare in sposa delle parenti strette ai due figli di Gengis Khan che si erano spartiti un territorio immenso, uno a nord, il Khanato dell’Orda d’Oro, uno stato immenso a settentrione dell’Impero bizantino, che dall’Europa orientale si estendeva all’Asia, e l’altro a sud, a levante dell’Impero romano d’Oriente, che comprendeva il Medioriente attuale, alleandosi quindi coi mongoli. Certo, tutto ciò non fu sufficiente a mantenere sempre un alto grado di forza, infatti per lunghi periodi l’Impero bizantino non fu altro che la Grecia più alcune parti dell’odierna Turchia, e nel 1204 i cristiani d’Occidente, durante la Quarta Crociata, presero Costantinopoli di fatto estinguendo l’Impero, che risorse poco dopo, ma con poche risorse e pochissima forza strategica. Ciò non tolse però i bizantini dalla scena, almeno fino al definitivo crollo sotto la spinta espansionistica dei Turchi ottomani nel XV secolo. In ogni caso la storia bizantina dimostra, e ciò è spiegato egregiamente da Luttwak, che una pur non straripante forza militare – anche se l’esercito bizantino era di tutto rispetto, con un sistema fiscale che permetteva al Basileus di mantenere alta la professionalità e l’addestramento delle truppe, ma comunque sulla carta più debole di alcuni avversari – accompagnata da un’abile diplomazia, può rivelarsi vitale per uno stato.
 
Certamente leggendo il libro non possiamo non fare dei parallelismi e dei riferimenti alla storia contemporanea. Luttwak è pur sempre un analista importante e seguito dai politici statunitensi. Il suo messaggio in codice alla dirigenza di Washington sembra essere il seguente: fate come i bizantini, usate la forza, ma con cautela e cercate di evitare la guerra diretta contro i nemici. Bisogna prediligere la promozione della divisione nel fronte interno degli avversari e avere la capacità di mettere i nemici uno contro l’altro, affinché si indeboliscano vicendevolmente. Inoltre mai distruggere completamente il nemico, in quanto potrebbe rivelarsi l’amico di domani e non aiutare troppo gli alleati, rafforzandoli eccessivamente, in quanto essi in un futuro non troppo remoto potrebbero rivelarsi dei temibili avversari. Questo ultimo punto è stato praticato dai bizantini con lo stato dei Bulgari, che per diverso tempo ha confinato con l’Impero romano d’Oriente. Il Basileus spesso era alleato di questo popolo di origine centroasiatico, e usava le truppe bulgare come uno stato cuscinetto contro i temibili nemici della steppa. Ma senza mai rafforzarlo troppo, in quanto un alleato potente ai confini non è mai una cosa positiva.
 
Non a caso i Bulgari spesso cambiavano alleanze e ogni tanto da amici diventavano nemici di Costantinopoli. Nel mondo odierno le cose non sono poi così diverse, chi vuole detenere l’egemonia in una regione o nel mondo, ha diverse strade da seguire: ma la più logica e meno dispendiosa rimane la permanente divisione nel fronte potenzialmente avversario. Le guerre sono sempre difficili e anche una vittoria può essere il frutto di un sacrificio enorme, sia economicamente che umanamente. La cosa migliore è fomentare “rivoluzioni colorate” – in Persia nel VII secolo d. C. o in Medio Oriente e nell’est europeo oggi, poco cambia – oppure far combattere tra di loro i propri potenziali avversari – persiani e turchi nel VII secolo d. C. o europei e russi oggi, poco cambia. L’importante è la gloria dell’Impero, bizantino o nordamericano, poco cambia.     

 

1-      Edward N. Luttwak, La grande strategia dell’Impero bizantino, Rizzoli, Milano, 2009, p. 473

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