giovedì 28 agosto 2014

La guerra dei cent’anni in Eurasia


 
 

Ali Reza Jalali

 

A oggi i principali terreni di attrito della politica internazionale sono due: l’Europa orientale e l’Asia sud-occidentale (Medio Oriente). Non penso che sia casuale la collocazione geografica di queste gravi crisi internazionali, fenomeni tragici, caratterizzate da aspre guerre, proprio ai limiti dello spazio eurasiatico strictu sensu. Una volta c’era la Russia zarista, un’entità geografica e statale che a grandi linee presentava una certa omogeneità rispetto all’esperienza sovietica immediatamente successiva – non certamente a livello ideologico, bensì a livello geografico – un impero eurasiatico che comprendeva ampie zone dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. Oggi quell’impero non c’è più ovviamente, ma le guerre, esattamente come succedeva prima, si combattono ai margini di questo territorio.

 

Dall’Ucraina all’Iraq, passando per la Siria, è come se il fronte fosse lo stesso, o per meglio dire, due fronti della stessa grande guerra, ai confini occidentali e meridionali dell’Eurasia, della Russia zarista, dell’Unione Sovietica, della CSI o come la vogliamo chiamare, in quanto, se a livello ideologico e metapolitico vi sono chiare differenza tra lo Zar, Basileus della Grande Russia, detentore del potere temporale legittimato dall’autorità spirituale del Patriarca, vicario di Cristo in terra, e il Presidente del Soviet supremo, chiamato a governare in nome del proletariato delle Repubbliche socialiste, lo stesso non si può dire a livello della geografia politica. Uno, lo Zar, ha governato in nome della Tradizione, l’altro, il capo dei bolscevichi, ha governato in nome della variante giacobina, socialista e marxista della modernità illuminista.

 

Il “grande spazio” di schmittiana memoria occupato dalle entità politiche e giuspubblicistiche della Russia zarista e sovietica è però identico, o quasi. La prima e la seconda guerra mondiale si è combattuta ai confini di questa realtà; la terza, la guerra fredda, idem. Con la dissoluzione del blocco socialista europeo, una sorta di area cuscinetto tra l’Occidente politico (democratico – liberale o sociale che fosse), economico (capitalista – liberista anglosassone o renano che fosse), sociale (sessantottino o conservatore che fosse) e militare (NATO) e l’impero russo-eurasiatico-marxista, le forze borghesi hanno ampliato il loro raggio di influenza, penetrando addirittura nel cuore degli ex possedimenti sovietici (i paesi baltici). Era la fine di un impero eurasiatico che sotto varie forme per alcuni secoli aveva dominato quell’enorme spazio geografico tra Europa e Asia.

 

Alcuni pensavano a una sorta di pax americana, atlantica, borghese, democratica. Se qualcuno, con queste premesse, a dire il vero molto diffuse dopo il crollo dell’URSS, fosse andato in letargo, e si fosse svegliato nell’estate 2014, sarebbe rimasto sconvolto. Altro che pace americana e impero pacifista dei mille anni. Il mondo è in fiamme e proprio quelle zone che sono sempre state il ventre molle della Russia, l’est europeo e il Medio Oriente, la line del fronte, sia per lo Zar che per i bolscevichi, sono nuovamente il teatro di aspri scontri. Lo Zar Vladimir – erede della tradizione ortodossa zarista e dell’apparato industriale e bellico sovietico - ha a che fare ancora con gli stessi problemi dei suoi antenati illustri. Quella in corso non è altro che una guerra di dimensioni importanti, la quarta guerra mondiale, per estendere il dominio atlantico e anglosassone su tutta l’Eurasia, sta volta latu sensu, su tutte le terre emerse da Lisbona a Shanghai.

 

Tale conflitto del mondo anglosassone atlantico contro o per la conquista dell’Eurasia è cominciato con la prima e seconda guerra mondiale, e per ovvi motivi geografici, ha avuto come vittima eccellente il vecchio continente con la sua potenza centrale, il mondo germanico, rappresentato dagli imperi tradizionali tedesco e austriaco prima e dalla Germania nazista poi, progetto al quale, per una sorta di convergenza geopolitica, in parte anche ideologica e metapolitica, con le forze talassocratiche anglosassoni ha partecipato pure la Russia. Nella terza guerra mondiale l’atlantismo ha avuto come nemico ideologico il comunismo con il suo principale rappresentante geopolitico, l’URSS.

 

Nell’attuale conflitto invece la guerra è rivolta ideologicamente e retoricamente all’Islam – come dice Huntington, non l’Islam radicale, ma l’Islam in quanto tale – ma a livello geopolitico il punto rimane lo stesso: come in un evidente moto da ovest a est, le forze atlantiche dopo la conquista dell’Europa, si spostano sempre più a oriente e hanno raggiunto i confini sensibili dei possedimenti dello Zar Vladimir: gli stati cuscinetto – la linea del fronte purtroppo per i russi è indietreggiata, la cortina di ferro non è più a Trieste ma ormai a Kiev - dell’Europa orientale e del Medio Oriente. Ormai siamo giunti alla fase finale della super guerra mondiale, suddivisa in quattro fasi, iniziata nei primi del Novecento: la guerra dei cent’anni per la conquista dell’Eurasia, promossa da quel pezzo di Europa anglosassone trapianta in Nord America.

 

Proprio cento anni fa, sempre nell’Europa orientale, si trovò il pretesto per l’inizio di un conflitto intereuropeo scellerato che diede l’opportunità alla principale potenza d’oltreoceano di iniziare la sua campagna militare nel vecchio continente. Ora siamo al dunque: o la principale potenza geopolitica eurasiatica, guidata dallo Zar Vladimir, soccombe, degradando, come auspicava Brzezinski, a potenza asiatica (perdendo l’Ucraina) e in quanto tale, come gli stati levantini, viene coinvolta in infinte diatribe interne e guerre civili, oppure reagendo, evita che la linea del fronte possa ulteriormente indietreggiare, nel Caucaso e nell’Asia centrale. Le trattative dell’UE con l’Ucraina e la Georgia in questo senso sono abbastanza preoccupanti per Mosca.

 

Non a caso l’espansione della NATO verso est è sempre stata accompagnata dall’allargamento dell’UE. Le due entità, a grandi linee, sembrano combaciare. Le contromosse russe comunque sono arrivate: da un lato l’annessione di fatto della Crimea ha ancorato Mosca al Mar Nero, principale bacino interno dell’Europa orientale, d’altro canto il sostengo diplomatico e di intelligence alla Siria ha rafforzato il ruolo di Zar Vladimir nell’area. Ma il precipitare della situazione in Iraq, l’avanzata degli estremisti islamici dell’ISIS, la risoluzione del CSNU di condanna del gruppo e i raid aerei americani contro i militanti di un gruppo aderente a quell’ideologia contro la quale l’Occidente starebbe combattendo la quarta guerra mondiale, almeno per quello che ci hanno detto gli intellettuali di area neocon del partito repubblicano americano, e con loro tutti i neocon di casa nostra, non stanno facendo altro che potenziare l’ipotesi di un intervento americano anche in Siria.

 

Ironia della sorte non contro il “dittatore” (guarda caso vicino alla Russia) Assad, ma contro i temibili jihadisti che combattono il governo damasceno, jihadisti sostenuti proprio dalla NATO (tramite la Turchia) e dalle monarchie arabe (alleate degli USA). Secondo alcuni l’intervento dovrebbe indebolire le formazioni ormai rivelatesi troppo radicali e aiutare i ribelli moderati a riprendere terreno, in una situazione molto caotica. Un caos questo, tutto sommato normale per quell’area del mondo, dove le alleanze durano il tempo di prendere un tè o di fumare un narghilè. Quel caos che le forze atlantiche vorrebbero vedere anche in Russia, un impero che da eurasiatico dovrebbe diventare solo ed esclusivamente asiatico e battere in ritirata. Ieri si è iniziati con Berlino, oggi si vuole arrivare a Mosca. Nel mezzo ci sono il Donbass e la Siria.             

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