martedì 24 giugno 2014

Come gli USA dovrebbero mantenere il primato in Eurasia. L'analisi di Friedman su Ucraina e Iraq


 
 
Propongo ai lettori del blog questa sintesi di un articolo del noto analista americano George Friedman, pubblicato da “Stratfor”. Emerge dal pensiero dell’autore un dato evidente della politica americana e l’oggettiva grande capacità di Washington di giostrare in modo accurato nelle varie crisi internazionali. In ciò l’amministrazione Obama, nonostante alcuni limiti, dimostra molta più capacità di quella precedente. Interessante poi il parallelismo tra la situazione irachena e quella ucraina. Friedman consiglia ai dirigenti americani di non intervenire militarmente, evitando inutili rischi e costi di un’azione di quel tipo, ma suggerisce, da raffinato analista, di approfittare delle naturali contrapposizioni dettate dai fattori geopolitici e etnico-confessionali, che sono oggettivi, per incanalare gli eventi nella direzione caldeggiata da Friedman, quella, in generale, che vuole gli USA come principale potenza mondiale.

Ali Reza Jalali  

 

Nelle ultime settimane alcuni problemi del sistema internazionale sono riemersi. Abbiamo visto che il destino dell'Ucraina non è ancora risolto, e con questo, non è risolto nemmeno il rapporto della Russia con la penisola europea. In Iraq abbiamo appreso che il ritiro delle forze statunitensi e la creazione di un nuovo sistema politico non ha risposto alla domanda di come le tre anime del paese possano convivere. Ergo, le situazioni geopolitiche raramente si risolvono ordinatamente o permanentemente. Questi eventi, infine, pongono una questione difficile per gli Stati Uniti. Negli ultimi 13 anni, gli USA sono stati impegnata in una vasta guerra in due grandi teatri - e altri minori minori - nel mondo islamico. Gli Stati Uniti sono grandi e potenti abbastanza per sopportare tali conflitti prolungati, ma dato che le guerre non si sono concluse in modo soddisfacente, la voglia di alzare il limite di sopportazione per un eventuale  coinvolgimento militare ha un senso logico. Il discorso del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama presso l’Accademia Militare di West Point ha cercato di alzare il livello della guardia dei militari. Tuttavia, non era chiaro nel discorso il significato in termini pratici di quanto è stato detto:

“Ecco il punto centrale: l'America deve sempre avere il primato sulla scena mondiale. Se non lo facciamo noi, nessun altro lo farà. L’esercito al quale avete aderito è, e sempre sarà, la spina dorsale di questa leadership. Ma l'azione militare degli Stati Uniti non può essere l’unica o la sola componente del nostro primato. Avere il martello migliore non vuol dire che ogni problema è un chiodo.”

Dati gli eventi in Ucraina e in Iraq, la definizione del presidente di “chiodo” e di “martello”, in relazione ai militari degli Stati Uniti diventa importante. Le operazioni militari che non possono avere successo, o possono avere successo solo con un tale sforzo esorbitante che esaurisce la macchina bellica, sono irrazionali. Pertanto, la prima cosa da valutare in qualsiasi strategia in Ucraina o in Iraq è la sua praticabilità.

La crisi in corso in Ucraina

In Ucraina, un presidente filo-russo è stato sostituito da un presidente filo-occidentale. I russi hanno preso il controllo formale della Crimea, dove avevano sempre avuto il potere militare, grazie a un trattato con l'Ucraina. I gruppi pro-russi, apparentemente sostenuti da Mosca, lottano ancora per un controllo in due province orientali dell'Ucraina. In superficie, i russi hanno subito un'inversione in Ucraina. Se questo è veramente un capovolgimento dipenderà dal fatto che le autorità di Kiev sono in grado di governare l'Ucraina, che significa non solo la formazione di un governo coerente, ma anche di far rispettare la sua volontà. La strategia russa è quella di utilizzare l'energia, la finanza e le relazioni palesi e segrete per minare il governo ucraino e usurpare il suo potere. E' nell'interesse degli Stati Uniti che emerga una leadership filo-occidentale in Ucraina, ma l'interesse non è abbastanza schiacciante per giustificare un intervento militare degli USA. Non vi è alcuna struttura di alleanze in grado di sostenere un simile intervento, e non importa quanto indebolita sia la Russia; in ogni caso gli Stati Uniti sarebbero costretti a promuovere, in un paese vasto, una occupazione, e regolare l'amministrazione - anche se possibile - sarebbe un compito enorme. Gli americani poi combatterebbero lontani da casa, mentre i russi no. L'Ucraina non è quindi un “chiodo” da poter essere “martellato”. Gli Stati Uniti devono adottare una strategia indiretta. Il luogo in cui possono agire per influenzare gli eventi è nei paesi confinanti con l'Ucraina - in particolare Polonia e Romania. Questi paesi sono molto preoccupati per gli eventi di Kiev e saranno anche loro costretti a resistere all’aggressività russa come è accaduto nel secolo scorso; proprio qui devono intervenire gli USA, a sostegno dei timori di queste nazioni.

Le complessità dell'Iraq

L’Iraq è costituito da tre grandi gruppi: sciiti, sunniti e curdi. Gli Stati Uniti hanno lasciato l'Iraq nelle mani del governo dominato dagli sciiti, che non è riuscito ad integrare i curdi e sunniti. La strategia curda era quella di creare e mantenere una regione autonoma. I sunniti hanno tentato di costituire una forza rilevante nella loro regione e aspettare il momento opportuno. Quel momento è venuto quando, dopo le recenti elezioni, il premier iracheno Nouri al-Maliki non è riuscito a formare rapidamente un nuovo governo. I sunniti allora sono entrati in azione, prendendo il controllo delle zone di loro pertinenza confessionale e in qualche misura hanno cercato di coordinare le attività in tutta la regione. Essi non hanno attaccato la regione curda o le zone a predominanza sciita. Successivamente, gli sciiti hanno cominciato a mobilitarsi per resistere ai sunniti. Quello che è accaduto è il fallimento del governo centrale e l'affermazione del potere regionale. Non c'è alcun potere autoctono che può unire l'Iraq, in quanto nessuno ha abbastanza forza per farlo. Forse solo un intervento americano potrebbe riportare l’ordine. Come in Ucraina però, non è chiaro se gli Stati Uniti abbiano un interesse immediato a fare ciò. La rivolta sunnita porta con sé il rischio di un aumento del terrorismo e, ovviamente, dà ai terroristi una base da cui partire per condurre attacchi contro gli Stati Uniti. Con questa logica, gli Stati Uniti dovrebbero intervenire a favore dei curdi e degli sciiti. Il problema è che gli sciiti sono legati agli iraniani, e mentre gli Stati Uniti e l'Iran sono attualmente coinvolti in trattative sempre più complesse, ma promettenti, il focus è ovviamente sugli interessi e non sull'amicizia. L'invasione del 2003 si basava sul presupposto che gli sciiti, liberati da Saddam Hussein, sarebbero divenuti docili con gli Stati Uniti e avrebbero permesso di rimodellare l'Iraq in base ai desiderata di Washington. E’ subito emero però che gli sciiti iracheni, insieme ai loro alleati iraniani, avevano piani diversi. L'invasione degli Stati Uniti non è riuscita infine a creare un governo coerente in Iraq e ha contribuito a creare la circostanza attuale. Gli USA potrebbero intervenire nuovamente, ma il problema al momento non è militare, ma politico. Questo, naturalmente, lascia la possibilità di un aumento della minaccia del terrorismo. Ci sono 1,6 miliardi di musulmani nel mondo, e alcuni di loro sono pronti a impegnarsi in attività terroristiche. È estremamente difficile, tuttavia, capire che sono inclini a farlo. E' anche impossibile conquistare 1,6 miliardi di persone in modo da eliminare la minaccia del terrorismo. Sconfiggere un esercito nemico è molto più facile che occupare un paese il cui unico modo di resistere è il terrorismo. Un rischio grave in Iraq è poi che se le regioni sunnite diventano autonome e il loro governo non promuove la lotta alle componenti estremiste, il caos aumenterà. I curdi, i sunniti e gli sciiti sono ostili gli uni agli altri. Saddam controllava il paese attraverso l'apparato istituzionale laico del partito Baath. In mancanza, le tre comunità continuano ad essere ostili gli uni agli altri, così come la comunità sunnita in Siria è ostile agli alawiti. Gli Stati Uniti potrebbero promuovere allora questa tattica: mantenere l’Iraq tripartito, come adesso, non intervenendo direttamente, lasciando così le varie fazioni a contenersi vicendevolmente.

L'utilizzo limitato del “martello” da parte degli Stati Uniti

Per gli USA la situazione in Iraq e Ucraina è simile da un solo punto di vista: non si può intervenire militarmente. Invece, si deve agire con la forza indiretta utilizzando gli interessi e le ostilità delle parti coinvolte. Ciò lo si farà sostenendo fazioni che sono di interesse a Washington. In Ucraina, questo significherebbe sostenere gli ex Stati satelliti sovietici dell'Europa centrale. In Iraq, ciò significherebbe applicare una forza sufficiente per impedire l'annientamento di uno qualsiasi dei tre principali gruppi del paese. Anche in passato gli USA hanno utilizzato una strategia simile, ovvero ai tempi di Eisenhower. Solo chi conosce la guerra è a conoscenza del fatto che essa può essere utilizzata solo se si è quasi certi della vittoria, altrimenti è meglio una strategia volta all’attesa. Gli USA non hanno fretta in Ucraina e nemmeno in Iraq.

 

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