domenica 11 maggio 2014

Alcune considerazioni sull’obbligatorietà del velo per le donne in Iran. Nota ad un articolo di Tiziana Ciavardini su "La Repubblica"

 
Ali Reza Jalali
 
 
Il quotidiano “La Repubblica” qualche giorno fa riportava un articolo (1), firmato dall’amica Tiziana Ciavardini, sulla questione del velo per le donne iraniane. Veniva riportato in particolare l’episodio di una sorta di protesta on line delle donne e ragazze del paese persiano, attraverso la pubblicazione massiccia sui social network di foto che ritraevano le donne iraniane senza velo, all’aperto. In Iran vige una norma, giustamente richiamata anche nell’articolo di Tiziana Ciavardini, in base alla quale le donne sono obbligate ad avere un abbigliamento consono ai principi islamici, quindi a coprirsi il corpo, ad esclusione delle mani e del viso. La norma prevede una pena pecuniaria o il carcere fino a un paio di mesi per i trasgressori e a vigilare sull’applicazione di tale legge ci sono in Iran delle forze di polizia predisposte, la Gashte ershad (letteralmente “Ronda educativa”), una sorta di polizia dedita al rispetto del “buon costume”. Il responsabile di questa campagna mediatica perseguita principalmente su Facebook, come riporta correttamente l’articolo de “La Repubblica” è Masih Ali-Nejad, sulla quale avevo avuto modo di esprimermi già diverso tempo fa (2), una giornalista iraniana che vive ormai lontano dalla sua patria da diversi anni.
L’articolo suddetto mi ha spinto a scrivere qualche riga per fare qualche brevissima riflessione sulla situazione in Iran per ciò che concerne le donne, in particolare la questione del velo. L’argomento è molto complesso e richiederebbe un trattato apposito (3); non è qui mia intenzione affrontare il problema in modo approfondito. Dico solo questo: l’articolo di Tiziana Ciavardini dice una grande verità, soprattutto in un passaggio: “L'Hijab, cosí é chiamato in Iran il velo che copre la testa e non permette di mostrare i capelli. Malgrado una grande parte della popolazione indossi volontariamente l'Hijab con senso di appartenenza sia per motivi culturali che religiosi, un'altra parte è fortemente contraria a questa imposizione.” Nessuna persona ragionevole potrebbe negare questo fatto, sia che voglia criticare il modello statuale iraniano attualmente in vigore, sia che voglia difenderlo. Evidentemente la situazione attuale a livello normativo è un “favore” alla parte più religiosa del paese (4), e nega la possibilità a una parte consistente della popolazione femminile, non so se maggioritaria o minoritaria (5), di non portare il velo, in base alle proprie credenze culturali. Un sistema che voglia essere onnicomprensivo deve tenere in considerazione le istanze di tutti, della maggioranza e della minoranza, altrimenti si cadrebbe nell’imposizione della volontà assoluta della maggioranza, una forma di autoritarismo. Ma il problema in Iran è che le norme, in base alla Costituzione, devono essere il linea con i principi islamici. Ciò è previsto però anche in altri paesi musulmani, ad esempio in Iraq e altri ancora, ma in quei contesti il velo non è obbligatorio. Perché? In Iran l’aspetto islamico è stato interpretato in modo totalizzante, per cui non vi è alcun margine di scissione tra pubblico e privato. Quando si chiede a un giurista musulmano iraniano di stampo conservatore, perché la normativa sul velo deve essere così ferrea, partendo dal presupposto che la scelta del velo è una scelta privata e intima, la risposta è la seguente: portare il velo o non portarlo non implica solo una scelta privata, in quanto la donna che non lo porta si muove nella società. La sua presenza nel sociale implica l’attenzione da parte degli uomini e ciò potrebbe essere la base per la corruzione della società e per la promiscuità sessuale.
Quindi in Iran vi sono queste visioni contrapposte, ed entrambe, come sottolinea l’articolo de “La Repubblica”, hanno una loro diffusione nel paese mediorientale. Dal ‘79 fino a oggi - in quanto alla fine la politica e la produzione normativa, derivante dall’attività dei politici si basa sui rapporti di forza e nel concreto poco importa che il diritto sia di matrice divina o secolare, in quanto è sempre l’uomo di carne e di sangue il suo interprete - la componente religiosa e conservatrice ha prevalso. Non è detto che ciò possa prevalere sempre ovviamente. Bisogna anche capire che l’ordinamento della Repubblica Islamica iraniana è il frutto di una violenta reazione ad una occidentalizzazione forzata dei costumi imposta dal regime monarchico precedente. La politica, il diritto e gli ordinamenti, non sono altro che il frutto di alcune contingenze storiche e culturali. Passate e modificate quelle contingenze, si modificano anche le politiche e gli ordinamenti. Forse senza il “liberalismo culturale imposto” dello Shah, nemmeno ci sarebbe stata la “rivoluzione islamica”.  
 
 
(3)    In generale sulla situazione femminile in Iran vedi http://www.eurasia-rivista.org/donne-in-iran/15798/  
(4)    Anche qui però bisognerebbe sottolineare una cosa: non tutte le donne di impostazione tradizionalista, e ciò vale anche per gli uomini, sono d’accordo con una legislazione che neghi alle donne che non vogliono portare il velo di poterlo fare.
(5)    Probabilmente tra le persone che vivono in città la percentuale che vorrebbero un regime normativo “liberale” sul tema del velo aumenta e lo stesso dicasi tra i ceti sociali più alti e con un’istruzione più elevata, e tra i giovani. Nelle campagne e tra le persone più anziane l’impostazione è antitetica.   


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