sabato 27 luglio 2013

L’Iran e l’Unione Eurasiatica: il punto di vista degli intellettuali russi

L’Iran e l’Unione Eurasiatica: il punto di vista degli intellettuali russi

FMSO
4collaj-iran-russia3Nel febbraio 2013, il Ministero degli Esteri iraniano ha organizzato un seminario di due giorni a Teheran dal titolo, “L’Iran e la cooperazione regionale in Eurasia“. Il Ministro degli Esteri iraniano Ali AkbarSalehi ha parlato alla conferenza. Egli ha indicato l’interesse dell’Iran a far parte dell’ Unione Eurasiatica a guida russa e parlò in quell’occasione dell’utilità dell’Iran per lo sviluppo e l’espansione del cosiddetto “eurasiatismo.” I media più importanti, sia in Occidente che in Russia, non avevano riportato tale notizia in modo esaustivo. Vale la pena quindi di prenderla in considerazione.
Nel gennaio 2010 la Russia, il Kazakistan e la Bielorussia hanno creato un’unione doganale. La leadership russa si propone di essere un punto di riferimento per l’Unione Eurasiatica – un’alleanza eurasiatica di Stati dell’ex Unione Sovietica – che molti analisti e gli esperti ritengono permetterebbe alla Russia di controllare questi stati economicamente e mettere l’Unione in grado di controbilanciare l’Unione europea e l’Occidente. L’idea dell’Iran all’ interno dell’Unione Eurasiatica solleva qualche dubbio. L’Iran non è un ex stato sovietico e non si adatta con quello che molti analisti ritengono essere l’obiettivo del Cremlino di controllare, attraverso l’Unione eurasiatica, il cosiddetto “estero vicino”, che la Russia considera un “ambito privilegiato di influenza.” Il Cremlino tende a vedere l’Iran più come un partner di pari livello che non un paese sul quale esercitare influenza.
Ma l’Iran è anche tra i più grandi alleati della Russia in Eurasia ed oltre a ciò, i leader di entrambi i paesi si vedono in termini geostrategici in antitesi rispetto a Washington. Russia e Iran hanno una lunga e complicata storia di relazioni, che ha oscillato tra concorrenza e cooperazione. Negli ultimi anni hanno aumentato la cooperazione, in particolare dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha assunto un terzo mandato come presidente della Russia nel maggio 2012. Il punto di vista di Salehi è come una ulteriore prova della crescente sintonia Iran-Russia.
Il primo articolo che vi proponiamo è un’intervista con il direttore di un centro di studi sull’Iran in Russia, Rajab Safarov, che discute delle esternazioni di Salehi con l’agenzia russa Nakanune.ru. Il secondo articolo è di Denis Dvornikov, membro della Camera civica russa; prominenti organizzazioni della società civile in Russia e negli Stati Uniti hanno un parere negativo circa la Camera, che è stata istituita nel dicembre 2005 con l’obiettivo ufficiale di coinvolgere la società civile russa nel processo decisionale del governo. “Freedom House”, noto centro studi nordamericano, per esempio, ha descritto la “Camera” come una “istituzione vuota che devia l’opinione pubblica.”
Sia Safarov che Dvornikov sono sicuri che le affermazione di Salehi sono una chiara dichiarazione di volontà dell’Iran di entrare nell’Unione Eurasiatica, idea che supportano in pieno. Tra le loro ragioni, come suggerisce Dvornikov, vi è il fatto che la presenza di un membro forte come l’Iran salverebbe l’Unione dalla critica di essere un’istituzione dominata dalla Russia. Inoltre, l’Iran sostiene una struttura economica in grado di controbilanciare l’Occidente.
Anche se molti occidentali si sono espressi contro l’Unione Eurasiatica, sia Safarov che Dvornikov sembrano interessati a sottolineare che l’ostacolo principale alla creazione dell’Unione Eurasiatica è una certa élite interna alla Russia, troppo filo-occidentale, soprattutto tra i burocrati di medio livello. Ciò principalmente in Russia, ma anche in Kazakhstan. Entrambi parlano della necessità di superare queste istanze per portare l’Unione al pieno successo. Addirittura Safarov, parla in termini stalinisti, di “una forte volontà”, e suggerisce anche l’arresto di funzionari che si oppongono all’Unione.
Questi due articoli propongono quindi un punto di vista russo in materia di integrazione eurasiatica e affrontano il ruolo della Russia e dell’Iran in questo processo.
Intervista di Ivan Zuev di Nakanune.ru all’iranista russo Rajab Safarov
In precedenza, il Ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi ha parlato in termini sufficientemente esaustivi sulla cooperazione eurasiatica e la sua importanza per l’intera regione, dicendo che l’Iran potrebbe essere molto utile per lo sviluppo e l’espansione dell’”eurasiatismo.” Questo evento è passato praticamente inosservato, almeno per i principali media russi, che lo hanno semplicemente ignorato. Secondo il direttore del Centro per gli studi sull’Iran moderno, Rajab Safarov, l’Iran ha in sostanza affermato la sua posizione e il desiderio di aderire all’Unione Eurasiatica. Tuttavia, a suo parere, lo sviluppo delle idee integrazioniste di Vladimir Putin e Nursultan Nazarbayev, sono più ostacolate non tanto dai vicini della regione, ma dalle loro élite interne filo-occidentali.
Rajab Safarov: l’Iran è interessato a creare un mondo multipolare e qualsiasi iniziativa in questo senso, naturalmente, sarebbe il benvenuto. Attualmente, non ci sono muri che potrebbero seriamente limitare gli Stati Uniti, per cui l’idea di Putin di creare una comunità eurasiatica dei paesi della regione sembra molto rilevante per chi vuole più giustizia e la riduzione dell’egemonia di un solo paese. Naturalmente, l’Iran, ha visto questa struttura in tale prospettiva. L’idea di Putin è estremamente attraente per l’Iran, ma, in ogni caso, l’Iran vuole chiaramente scoprire da sé in quale direzione si muoveranno in futuro gli sviluppi. Francamente, l’idea di creare l’Unione Eurasiatica è in questo momento in difficoltà. Devo ammettere che aveva dei tratti del tutto irrealistici, poteva sembrare solo uno slogan politico o una mossa pre-elettorale di Vladimir Putin, e di fatto, questa idea ha incontrato alcuni problemi. Primo fra tutti – “attenzione” da parte dell’Occidente.
Mi sembra che questo processo è in difficoltà non perché Putin non lo vuole; il sabotaggio è al livello medio della burocrazia. I funzionari hanno migliaia di legami con l’Occidente e la burocrazia russa è parte del mondo occidentale, quindi ritarda il processo che può portare al pieno successo dell’Unione eurasiatica.
Domanda: Qual è il vantaggio economico di entrare nell’Unione Eurasiatica per l’Iran?
Rajab Safarov: l’Iran ha le seconde maggiori riserve di gas al mondo ed è il quarto esportatore di petrolio al mondo, questi due fattori sono già importanti, se il processo di integrazione sarà effettuato nella formula di Putin, ciò sarà un bene per tutti. Questi stati possono sviluppare una rete nella direzione della creazione di condizioni favorevoli per i consumatori di materie prime della regione. Ciò fornirà un alto tasso di sviluppo, che potrebbe essere superiore ai tassi di crescita normali nel mondo, per non parlare di un aumento dei livelli di vita, che a sua volta influenzerebbero il livello di influenza internazionale per affrontare questioni di politica estera. Questo è ciò che molti hanno paura che avvenga. Tanto più perché il potenziale iraniano è enorme. Data la sua posizione geografica, dato il suo ruolo di paese chiave nel mondo islamico – tutto questo dà una carta vincente enorme per la Russia, rispetto agli altri paesi eurasiatici membri dell’Unione, per non parlare della Cina, per influenzare l’intero mondo islamico. Senza l’Iran è impossibile raggiungere tale livello di influenza. Inoltre, il paese è assolutamente autosufficiente e può esso stesso diventare una forza trainante per i paesi dell’Unione.
Domanda: Tuttavia, possiamo dire che la dichiarazione del Ministro degli Esteri iraniano è una richiesta ufficiale finalizzata ad aderire all’Unione Eurasiatica?
Rajab Safarov: In un paese come la Repubblica Islamica dell’Iran, ogni idea, e in particolare una riconducibile alla partecipazione ai processi di integrazione – deriva da una serie di accordi interni, tanto più che il Ministro degli Esteri – è una figura chiave del potere in Iran, e in nessun caso agirebbe in modo superficiale. Sì, ciò significa che questa è la posizione della Repubblica. L’Iran è pronta per i processi di integrazione regionale.
Ma il problema non è che l’Iran sta dichiarando qualcosa. Molti in Russia soffrono per queste prospettive. Per eliminare queste opposizioni a tali processi, ci vuole una struttura forte. Queste persone si siedono in posizioni di vice ministri, direttori di dipartimenti e così via, e sono venuti fuori con argomentazioni sufficientemente motivate per ritardare il processo di integrazione per un lungo periodo. E la burocrazia si presenta con mille ragioni, le motivazioni per sabotare queste idee sono molteplici. Qualsiasi ostacolo nel paese per le idee della integrazione eurasiatica deve essere rimosso – questa è una cosa categorica. Per ovviare a questo, hai bisogno di una forte volontà, “siete d’accordo? Bene, altrimenti vi aspetta l’arresto”.
Denis Dvornikov: l’Iran è pronto a diventare il secondo polo naturale dell’Unione Eurasiatica
Il progetto è ancora virtuale, ma l’”Unione Eurasiatica”, è vista dai funzionari di Teheran non solo come un potenziale partner strategico, ma anche come la forma più auspicabile di una integrazione geopolitica per la Repubblica Islamica nel sistema di nuove istituzioni internazionali. In una recente conferenza sui problemi eurasiatici, il Ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi ha detto che la “cooperazione eurasiatica sta guadagnando un significato raddoppiato, e la sua formazione può aumentare il contributo dei paesi di questa regione per plasmare il mondo di domani e per garantire gli interessi della regione.” Oggi, gli istituti di politica estera dell’Iran stanno attivamente studiando i possibili scenari di partecipazione del loro paese in questo nuovo costrutto. In realtà, l’Iran è pronto a diventare il secondo polo naturale dell’Unione Eurasiatica, che assumerà non solo i vantaggi dei mercati internazionali, ma anche le difficoltà di costi organizzativi e finanziari per la prima e le successive fasi di creazione della nuova entità, un progetto che ha già causato non solo la critica, ma anche l’aperta aggressione da parte di alcuni partner occidentali della Russia.
Poi ci sono le provocazioni della politica interna russa – questi sono i principali rischi per il nostro paese – tutte cose che mettono a repentaglio la riuscita del progetto dell’Unione Eurasiatica. Nonostante la retorica provocatoria di alcuni attori internazionali, è la resistenza interna di alcuni politici liberali a essere la principale sfida per la Russia nella sua auto-definizione. Questo è vero non solo per l’Unione Eurasiatica, ma anche per molte altre iniziative infrastrutturali e ideologiche. Certo, in ambito internazionale, l’Unione Eurasiatica non è un tentativo di ripristinare questioni del passato, ma una unione politica di uguali e liberi paesi, i cui valori principali sono non solo il commercio, ma anche la conservazione dei fondamenti del diritto internazionale, il rispetto per le tradizioni, la sovranità nazionale e dei diritti umani nel loro vero senso. Queste cose ovvie dovranno essere spiegate non solo ai paesi partner e ai futuri membri della nuova struttura internazionale, ma anche a noi stessi, ai nostri funzionari e strateghi in Russia.
Per quanto strano possa sembrare ad alcuni, è proprio la partecipazione dell’Iran che può aiutare a evitare la percezione di unilateralità del progetto dell’Unione Eurasiatica. E’ la partecipazione di un potente membro della nuova organizzazione, che limiterà discorsi senza senso sulla Russia e il fatto di essere l’unico e dominante beneficiario di questo progetto di integrazione, che, per inciso, è la tesi principale degli oppositori a questo sistema internazionale.
Traduzione a cura di Ali Reza Jalali

mercoledì 24 luglio 2013

Pubblicazione trimestrale della rivista dell'Accademia di Geopolitica di Parigi



(E' stato pubblicato un articolo di Ali Reza Jalali, sulla rivista dell'Accademia di Geopolitica di Parigi, concernente le sanzioni economiche internazionali contro l'Iran. Su questo numero della rivista trimestrale (n. 40), hanno pubblicato articoli anche importanti intellettulali e personaggi di primo piano della politica internazionale, come l'ex Segretario Generale dell'ONU Boutros Boutros-Ghali. Di seguito vi proponiamo il testo dell'articolo di Jalali in inglese)


Les sanctions visant à préserver la non-prolifération nucléaire

Geostrategiques n. 40 

Publication trimestrielle de l’Académie de Géopolitique de Paris 

Sanctions and The Origin of Social Changes in Destination Countries: the Iranian Case

Ali Reza Jalali

Ph.D. student (Constitutional Law) of Verona’s University (Italy) and a researcher of Eurasia and Mediterranean Studies Center (Italy)







The sanctions adopted by the so-called international community to prevent Iran from acquiring nuclear weapons are not a rational solution to the issue. In addition this fact not prevent Iran from continuing the expansion of its civilian nuclear program, they help to place in a climate of international isolation, mainly from the economic point of view. Moreover, sanctions, being aimed at weakening exports of crude oil, give a greater incentive to Iran to continue and expand its nuclear program. The strong population growth that is going through Iran in recent years has in fact led to more domestic oil consumption with a consequent reduction in exports of the same. The nuclear program would represent an important alternative energy source that would allow Iran to reduce domestic consumption continuing to export oil. There is a fundamental difference between the unilateral sanctions imposed by the U.S. against Iran and those adopted by the United Nations and the European Union. The former do not need any justification, for they are motivated by hostility that exists between the U.S. and Iran, built after the Revolution of 1979. In other words, it is the nature of the Iranian state to justify U.S. sanctions because the United States has an interest in overthrowing the regime in Tehran. The sanctions adopted by the international community have instead another end: pause the program and prevent Iran from acquiring nuclear weapons. International bodies have never been able to prove with certainty that the Iranian nuclear program has a military nature. In practice, it calls on Iran to prove his guilt. It is therefore requested the accused to prove one thing that should try the inquisitor, but since the latter does not have the evidence, the accused makes this request. What is certain is that the sanctions are not doing to change direction to the Iranian government, which continues to be more determined to achieve self-sufficiency. Ever since the U.S. and some European countries began to fund in 1957, the nuclear program had the aim of producing an alternative energy source that would reduce Iran’s dependence on the oil sector. From that moment on, all the governments that followed, by King Mohammed Reza Pahlavi, Ayatollah Ruhollah Khomeiny and his successors, brought this idea forward with conviction, sensing nuclear power as a long-term investment for Iran’s future. This was confirmed also by the current Iranian leadership. Iran has got approximately 10% of the world reserves of crude oil. Tehran is the second largest oil producer after Saudi Arabia within OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), exporting about two-thirds of the four million barrels it produces each day. To understand the importance that holds the oil sector within the economy of the country is enough to know that oil exports are headed to 80% of total exports, and that they give rise to 50% of the total revenue from the state. However the world’s oil reserves are quickly drying up, a survey conducted by Jeremy Rifkin estimated that Iranian crude finish in fifty years. The Iranian population has doubled in the last thirty years, leading to a drastic increase in domestic consumption of energy, which specifically depends largely on oil. The point is that Iran, despite being potentially endowed with vast oil resources, it has limited refining capacity and is therefore forced to import large quantities of derivatives, various fuels, petrol and diesel. Although some recent reforms implemented by the government of Ahmadinejad have improved refining capacity, Iran’s dependence on oil is harmful to the country. In recent years, the EIA (Energy Information Administration) has estimated that imports of refined oil accounted for 70% of total imports of the country. Summary, Iran exports a quantity of crude oil equal to 80% of its total exports, and then buy back a significant amount, equivalent to 70% of domestic imports, at a much higher price. Domestic demand not only minimizes the potential gain that oil could lead to the country, but Iran makes inefficient in terms of energy self-sufficiency. This does not mean the U.S. in 1974 supported the ambitions of the King of Iran, who dreamed of developing a nuclear capability equal to 23.000MW. Even if that goal is far today, achieving 6.000MW for next ten years, as repeatedly stated by the current government, would open the door to a new energy source. International sanctions, as well as those decided unilaterally by the U.S., have two main objectives: to block the acquisition of uranium and useful technologies to the nuclear program and isolate Iran with regard to the oil trade. The reason why it was decided to hit the oil sector is the importance that it plays in the economy of Iran. Hitting him in the heart, the government will be forced to meet the demands of the international community if it does not want to lose popular support and destroy the economic system of the country. This is what probably thinks Western governments. In recent years, the Obama administration has dramatically increased the scope of the sanctions policy. And severely punished any person who makes a substantial investment in the petrochemical industry in Iran, or providing Iran with services, goods, technology, or information relating to the production of oil derivatives, or to contribute in some way to increase the capacity of Iran to import fuel. Considering the importance of oil in the economy of Iran and that domestic demand is not much satisfied by the huge oil reserves that can currently provide, the sanctions are having an adverse effect on the country, especially in the short period. The main effect is the devaluation of the local currency, and then the sharp rise in inflation, currently around 30%. This resulted in an increase in prices, which caused problems especially for lower-middle class and Iranian employees, but has benefited the wealthiest families and certain circles of the middle class, through financial speculation. In fact, Iran cannot make international banking transactions, or even if he can do it, makes in a very bad and difficult conditions. The problem is that damage to the oil sector, will never change mind of Tehran’s government about nuclear program. At this time the oil is not a source of wealth for Iran, but rather a serious problem to be solved. Not having a worthy alternative and not being able to choose, Tehran has no way out. The sanctions are not «teaching» something, but rather are pushing policies to promote self-sufficiency in energy sector. Without the oil sector, Iran loses its main source of income of the country. On the other hand, Tehran is forced to seek an alternative to oil and nuclear energy in order to survive it is therefore historic candidate. Today, more than ever, the nuclear program is the way out of this difficult situation. If the first nuclear power was the solution to the problem of oil, today it has become the only viable alternative. Ahmadinejad’s recent trip to West Africa to sign cooperation agreements in the energy sector proves it. The tour of Iranian President covered Benin, Ghana and Niger states that are among the largest producers of uranium in the world. The agenda of the meeting focused on education, agriculture, but also energy, as said by the Foreign Minister of Benin. The government in Tehran is trying to forge trade pacts and political alliances with states that are part of the Movement of Non-Aligned Countries and anyone who does not support the sanctions imposed by the U.S. and the European Union. Iran is not in a crossroads where he can choose between continuing to suffer the penalties or suspend its program, but is forced to survive and to develop its economy, and thus to create well-being for the population, and to continue on the road of nuclear power. Tehran has always need of nuclear power and the sanctions do nothing, but encourage this need. This is a contradiction because Westerners want that Iran would put an end to its nuclear program, which, however, cannot be suspended because the penalties are blocking the reason why the program exists and that is oil. The nuclear program is not a whim of the government, but a matter of vital importance to the whole country and for the Iranians. I think that the Iranian leaders in the future will not change policy and its nuclear program continue to grow. At this rate will only worsen the climate of hostility that exists between the West and Iran, and the possibility to establish a dialogue and reach an agreement will be shared more and more remote. On the other hand this approach further Iran to countries in Asia, Africa and Central and South Americans, and in fact will lay the foundation for the further development of the multi-polar world, so feared by the U.S.. The Iranian people then, despite the difficulties for sanctions, understands the irrationality of the sanctions, and this causes a feeling of injustice widespread, but it has resulted in increased hatred against the arrogant international powers, directly responsible for these unjust economic sanctions. This situation create only hate in Iranian society, not against Iranian state, but against U.S and some European governments.

martedì 23 luglio 2013

مراسم گرامی‌داشت روز جهانی قدس در ایتالیا

Il sito iraniano "Fronte Mondiale degli Oppressi" ha pubblicato un articolo sull'evento del 2 agosto in provincia di Brescia, sulla Palestina, al quale parteciperà Ali Reza Jalali

مراسم گرامی‌داشت روز جهانی قدس در ایتالیا
روز جمعه ۲ اگوست در شهر برسکیای ایتالیا مراسم گرامی داشت روز قدس با حضور فعالین و گروه های مختلف برگزار می شود.
به گزارش جبهه جهانی مستضعفین، گروه سیاسی "Stato e Potenza" (دولت و قدرت)، روز جمعه ۲ اگوست در شهر برسکیای ایتالیا به مناسبت روز جهانی قدس، مراسم گرامی‌داشتی را برگزار می‌کند.

در این جلسه آقایان Stefano Bonilauri، رئیس گروه "Stato e Potenza" و Claudio Mutti رئیس نشریه "Eurasia"، همچنین "علیرضا جلالی" عضو انجمن اسلامی "امام مهدی(عج)" و "جعفر رها" مسلمان شیعه ایتالیایی شرکت خواهند کرد.


مراسم  گرامی‌داشت روز جهانی قدس در ایتالیا

lunedì 22 luglio 2013

Giornata mondiale di Gerusalemme: evento a Brescia





In occasione della Giornata Mondiale di Gerusalemme, istituita per volontà dell'imam Khomeini, guida della Rivoluzione islamica dell'Iran, nel 1979, "Caposaldo Associazioni Unite" e "Stato e Potenza" organizzano un incontro sul tema della Palestina, venerdì 2 agosto a Lonato (Brescia). Per ulteriori informazioni potete consultare il sito internet di "Stato e Potenza" - http://www.statopotenza.eu/

Intervengono come relatori: 

●STEFANO BONILAURI
Stato & Potenza 

●ALI' REZA JALALI
Associazione Islamica Imam Mahdi

●CLAUDIO MUTTI
Direttore della Eurasia Rivista

●JAFAR RADA
Studioso di Islam

●ALESSANDRO IACOBELLIS
Esperto di questioni mediorientali

●SIMONE BOSCALI
Caposaldo Associazioni Unite


Una volta raggiunto il potere, uno dei primi atti del governo rivoluzionario iraniano fu la chiusura dell’ambasciata israeliana e la sua sostituzione con la prima ambasciata palestinese in tutto il Medio Oriente. Lo stesso anno, Khomeini dichiarò l’ultimo venerdì del mese di Ramadan “giornata di Al Quds”(“giornata di Gerusalemme”) intendendo con questo fare atto di “solidarietà internazionale dei musulmani a sostegno dei legittimi diritti del popolo musulmano della Palestina”; la giornata era intesa anche come “giornata dei deboli e degli oppressi dall’arroganza delle potenze”. Si propugnava il sostegno per la Palestina sia sul piano morale che su quello religioso, secondo la dicotomia utilizzata da Khomeini deimustakbirin (oppressori) contro i mustad’afin (oppressi): “Noi stiamo sempre e comunque dalla parte degli oppressi. I palestinesi sono oppressi dagli israeliani, e dunque non ci schieriamo a loro fianco”. (1)


domenica 21 luglio 2013

Il colpo di stato in Egitto e le complicazioni connesse





di Ali Reza Jalali 


Le interpretazioni sul colpo di stato in Egitto continuano ad essere abbastanza diverse tra i vari opinionisti. Come avevo detto qualche tempo fa "i Fratelli Musulmani rischiano così un nuovo periodo di marginalizzazione dal potere politico del Cairo, andando in contro ad una seria sconfitta anche nella regione, considerando il fallimento del piano riconducibile alla caduta di Assad in Siria, dove la Fratellanza aveva il ruolo politico più importante nell'opposizione al governo damasceno." (1) Ma ridurre il tutto a ciò, così come si stanno evolvendo le cose sarebbe troppo semplicistico. Sono arrivate le prime dichiarazioni ufficiali dei vari governi. Abbiamo condanne nette per ciò che concerne i ministeri degli esteri di paesi come Turchia e Iran. In quest'ultimo paese però bisogna notare che gli ambienti militari, legati alla Guardia Rivoluzionaria, non sembrano così dispiaciuti. Infatti uno dei capi dei Pasdaran ha detto: "Dobbiamo fidarci del popolo egiziano ed è normale che la gente si ribelli ad un governo che non mantiene le promesse date." Anche l'esercito "laico" della Turchia è presumibile che non sia così dispiaciuto del golpe che estromette dal Cairo un alleato di Erdogan, l'islamista moderato. 

Chi è sembrato molto contento della caduta di Morsi è sembrato il presidente Assad, che avendo i FM come avversari nel suo paese, è arrivato a dire che "la caduta di Morsi rappresenta la fine dell'islam politico". Una dichiarazione simile è stata pronunciata dal premier israeliano. "La caduta del presidente egiziano Mohamed Morsi, deposto di recente dai militari, appare conseguenza del fallimento dei Fratelli Musulmani nel dare risposte alle aspirazioni delle 'Primavere arabe'. Lo ha affermato il premier israeliano Netanyahu, commentando la situazione nel vicino Egitto in una rara deviazione dalla linea del silenzio. ''Io credo che alla lunga i regimi islamico-radicali siano destinati a fallire perche' non offrono il rinnovamento necessario'', ha detto Netanyahu." (2)

Ciò dimostra che a livello regionale dare un giudizio netto di quello che sta succedendo non è semplice. Anche in Israele a dire il vero le opinioni sono discordanti. Alcuni media hanno accolto con dispiacere la caduta di Morsi, soprattutto quelli vicini alla sinistra israeliana. Come vediamo, sia in Turchia, sia in Iran, ma anche in Israele, non vi sono opinioni univoche sulla caduta di Morsi. 

Chi senza ombra di dubbio è contento della situazione egiziana quindi, oltre la Siria, è l'Arabia Saudita; anche il Qatar sembra in preda allo sconforto e l'espulsione dell'Imam di Al Jazeera, particolarmente vicino alla Fratellanza Musulmana, è un segnale forte del ridimensionamento delle pretese interventiste del piccolo emirato del Golfo Persico. 

Vedremo cosa accadrà nel breve, ma ora l'Egitto sta prendendo una strada simile a quello che era il regime di Mubarak, ovvero dominio incontrastato dei militari, alleanza con Israele, che a dire il vero lo stesso Morsi non sembrava aver messo in discussione, e confronto duro con l'Iran, vista anche la chiusura degli uffici del canale panarabo gestito dagli iraniani Al Alam, canale che godeva di una certa libertà di azione al tempo di Morsi. Ma questa situazione cambierà, anche perché i militari saranno costretti, almeno nel giro di 1-2 anni, a organizzare nuove elezioni; quando il potere tornerà in mano ai civili, in modo più o meno completo, l'atteggiamento potrebbe cambiare; potrebbe andare al potere un Mubarak "moderato", un leader non islamista, o comunque non dei FM, con un atteggiamento meno anti-iraniano dell'esercito egiziano, notoriamente finanziato dagli USA e in buoni rapporti con Israele. 



(1) http://palaestinafelix.blogspot.it/2013/07/le-riflessioni-di-ali-reza-jalali-sugli.html
 (2) http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/07/21/Egitto-Netanyahu-Morsi-flop-Islam_9054533.html

venerdì 19 luglio 2013

Nasrallah: “Grazie alla Resistenza Israele non può attaccare il Libano a cuor leggero”



Il Segretario Generale di Hezbollah, Sua Eminenza Sayyed Hassan Nasrallah ha dichiarato che la resistenza islamica in Libano ha una visione, un obiettivo, una missione chiara ed inequivocabile. Questa resistenza, secondo Sayyed Nasrallah gode di una forte fede, determinazione e volontà.
Durante il discorso pronunciato il 19 luglio, Sayyed Nasrallah ha dichiarato: "Questa resistenza ha cercato la liberazione del territorio libanese, che è stato occupato da Israele, nel 1982, la liberazione dei prigionieri e dei detenuti rimasti nelle prigioni sioniste, il sostegno all'esercito libanese e alle forze di sicurezza per proteggere il Libano."
Secondo Nasrallah, la Resistenza non assume la piena responsabilità di proteggere il Libano, ma piuttosto prende parte al progetto securitario nazionale, insieme all’esercito; e questa missione rimarrà intatta fino alla liberazione dei territori occupati rimanenti.
Egli ha continuato: "Neanche per sogno possiamo affermare che abbiamo lo stesso numero di truppe come esercito, o di armi e attrezzature simili a quelli posseduti dalle truppe sioniste, ma questa è la scuola della resistenza, che non approva l'approccio classico dei militari, della sicurezza, o l'equilibrio demografico ed economico."
Il Libano non è al di fuori della cerchia di pericolo rappresentato da Tel Aviv, ha detto Sayyed Nasrallah. Egli ha ribadito che “la Resistenza popolare è riuscita a creare un equilibrio del terrore per proteggere il Libano dagli attacchi attraverso la fede.”
Sayyed Nasrallah ha espresso che discutere della legittimità della resistenza è inutile, anzi, tutti dovrebbero chiedersi se il Libano ha bisogno della resistenza e delle sue armi.
Gli Stati Uniti non sono più potente come prima e non impongono più la loro volontà sul mondo, ha proseguito il leader della resistenza libanese.
Sayyed Nasrallah ha assicurato: “Siamo sempre pronti al dialogo, senza restrizioni per discutere di strategia e della difesa nazionale del Libano. Abbiamo presentato una strategia di difesa dal 2006, ma nessuno dei partiti nostri oppositori ha voluto saperne qualcosa”. 
Sayyed Nasrallah ha inoltre dichiarato che la Resistenza ha distrutto il progetto americano del Nuovo Medio Oriente nel 2006.

Nasrallah ha anche invitato il popolo libanese all’unità e alla lungimiranza. Egli ha concluso dicendo: “Grazie alla Resistenza Israele non può attaccare il Libano a cuor leggero”.

A cura di Ali Reza Jalali 

sabato 13 luglio 2013

Alexander Dugin e l’alleanza strategica tra la Russia e l’Iran

Alexander Dugin e l’alleanza strategica tra la Russia e l’Iran

Traduzione a cura di Ali Reza Jalali
duignnew(Il testo che segue è l’intervento del Prof. Alexander Dugin, noto intellettuale russo, docente all’Università statale della capitale della Federazione Russa, il 2 luglio 2013 a Mosca, in presenza di una delegazione di intellettuali russi e del presidente iraniano Ahmadinejad)
Tra la Russia e l’Iran deve svilupparsi una partnership strategica, che dovrebbe evolvere in futuro su queste direttive.
1. Direttiva geopolitica. Se osserviamo la struttura degli interessi strategici della Russia e dell’Iran su tutta la zona delle nostre frontiere comuni, vediamo con chiarezza il seguente quadro: gli interessi russo-iraniani quasi sempre e dappertutto sono gli stessi. In Afghanistan, Asia centrale, nella regione del Caspio, nel Caucaso meridionale – abbiamo rigorosamente gli stessi obiettivi: per prevenire la crescita di influenza della NATO (USA e Europa occidentale), vincolare la possibile espansione della potenza cinese, fermare il radicalismo salafita e wahabita, incentrato sull’Arabia Saudita, sul Qatar e certi ambienti in Pakistan. Sia la Russia che l’Iran supportano l’Armenia, ma la Russia e l’Iran sono interessati anche al riavvicinamento con l’Azerbaigian. Sia la Russia che l’Iran beneficerebbero della caduta della marionetta USA Saakashvili in Georgia e l’avvento di una politica più razionale ed equilibrata. Sia la Russia che l’Iran accoglierebbero il riorientamento della Turchia in chiave geopolitica eurasiatica. E anche in Medio Oriente, dove la Russia agisce indirettamente, e l’Iran, al contrario, ha un interesse vitale, oggi siamo pienamente d’accordo sulla questione della Siria, e questo significa che condividiamo la posizione (critica) verso la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar e Israele. Allo stesso tempo, con l’alleanza con l’Iran, la Russia sarà in grado di realizzare il vecchio sogno della sua geopolitica: l’accesso ai mari caldi. Oggi esiste la possibilità per una svolta storica in questo senso.
2. Direttiva riconducibile alle relazioni internazionali. Russia e Iran sono a favore di un ordine mondiale multipolare. Putin e Ahmadinejad hanno criticato fortemente l’unipolarismo dell’Occidente; quest’ultimo vorrebbe negare il diritto di decidere per tutta l’umanità. La politica di entrambi i paesi è favorevole a un mondo multipolare. Quindi, i due paesi hanno un interesse vitale finalizzato alla creazione di un mondo multipolare contro l’egemonia americana. Sviluppare quindi una “Teoria di un mondo multipolare” è molto importante per la Russia e l’Iran.
3. Direttiva ideologica. La struttura politica iraniana non corrisponde a nessuna delle classiche ideologie politiche dell’Occidente nei tempi moderni. Questo non è il liberalismo, non è il comunismo, non è nemmeno il nazionalismo. Pertanto, la filosofia politica del moderno Iran sta oltre queste tre ideologie, nell’alveo della “quarta ideologia”. In questo senso, è importante che il mio libro “La Quarta Teoria Politica” sia stato tradotto in lingua farsi e pubblicato di recente a Teheran. La Russia moderna è in una situazione simile: il comunismo e il liberalismo sono screditati, il nazionalismo porterà alla disintegrazione della società multi-etnica in Russia. Per il futuro, anche la Russia si muove nel campo della “quarta teoria politica.” Ciò ci unisce e rende il nostro lavoro più semplice.
4. Direttiva economica. Iran e Russia condividono un interesse a minare l’egemonia degli Stati Uniti per l’economia, come anche per il dollaro. I nostri paesi lavorano per la fine dell’imperialismo e della dittatura della finanza globale. Unire le forze nel campo dell’energia trasformerà i nostri paesi in una holding di energia di importanza globale. Inoltre, l’Iran e la Russia sono interessati a uscire dalla zona del dollaro e sono impegnati nella creazione della moneta eurasiatica. La Russia deve aiutare l’Iran a rompere il soffocante blocco economico. Nell’economia, i nostri interessi sono assolutamente identici.
5. Direttiva spirituale. Durante il mio soggiorno nella città santa sciita di Qom in una conversazione con l’Ayatollah Hamedani (1) ho notato il termine che ha usato – “cultura dell’attesa”, “farhange entezor” (in persiano). L’idea era che il senso spirituale della religiosità dell’Iran è riconducibile all’attesa del Mahdi, il Salvatore del mondo, che metterà fine all’oppressione, al capitalismo, al dominio dell’Occidente e riempirà il mondo di giustizia. L’Ayatollah Hamedani ha anche parlato delle credenze degli sciiti ortodossi, che sono in attesa del tempo della Seconda Venuta, e che secondo le tradizioni del Profeta, nella battaglia finale, i musulmani e cristiani sono dalla stessa parte contro le orde dell’Anticristo (atlantismo, Stati Uniti, globalizzazione). E che tutto sarà deciso, sempre secondo le tradizioni islamiche, a Damasco. Questa “cultura dell’attesa” unisce i nostri popoli e crea nella nostra società, una prospettiva riconducibile ad una visione del mondo che vede lo scopo della vita non nel benessere materiale, ma nella realizzazione del grande obiettivo – il trionfo della verità, del bene e della giustizia. La nostra lotta è per un futuro migliore, contro l’ingiustizia e la corruzione, in cui ci troviamo oggi.
(1)L’Ayatollah Noori Hamedani è uno dei sapienti religiosi più importanti dell’Iran e del mondo sciita.

mercoledì 10 luglio 2013

Israele alle prese col caos in Siria, Libano ed Egitto


Ali Reza Jalali
26cnd-hamas.600Mentre il mondo si sta concentrando sulla crisi in Egitto, l’offensiva contro la Siria di Bashar Assad e i suoi sostenitori in Libano continua. Mentre l’esercito egiziano e i Fratelli Musulmani sono stati coinvolti in un duro scontro, le esplosioni hanno scosso il centro di Damasco e un autobomba è esplosa nel quartiere sciita di Beirut. Questi eventi ci hanno fatto ricordare che la Siria continua a sanguinare e le ripercussioni della guerra tra le forze regolari damascene e i ribelli, si fanno ancora sentire, anche quando i media internazionali parlano dell’Egitto. Sembra che Israele non sia direttamente collegato a questi eventi. Al-Arabiya ha riportato una serie di esplosioni a Damasco durante la notte tra lunedì e martedì. Al mattino, decine di libanesi sono stati feriti dalla bomba nel quartiere Dahiya vicino a un centro civile associato con Hezbollah – il cuore della roccaforte sciita nel sud di Beirut. Il movente per gli attentati di Damasco è chiaro e riconducibile alla terrificante guerra che da più di due anni insanguina il paese arabo. Quanto a Beirut, Israele anche in passato ha usato metodi di questo tipo, magari non direttamente, ma per interposta persona, finanziando e armando alcuni gruppi terroristici del Medio Oriente. Ma a prescindere da ciò, l’esplosione nel centro di Dahiya è una sfida diretta a Hezbollah, a seguito del lancio di razzi nel quartiere più di un mese fa, e diversi episodi di lanci di razzi contro i villaggi sciiti nella valle della Bekaa. Si può supporre che le organizzazioni estremiste salafite siano dietro gli attacchi contro Hezbollah; tali gruppi eventualmente potrebbero essere stati assistiti dai gruppi dell’opposizione in Siria.
Il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Benny Gantz aveva probabilmente ragione la settimana scorsa, quando ha detto che a causa della guerra civile siriana, le frange del mantello del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah erano in fiamme. Più Hezbollah viene immerso nel conflitto siriano, più è esposto ad attacchi dai suoi avversari in Libano. Nel frattempo, il sito arabo Al Hakika ha riferito i dettagli di un altro evento significativo – l’attacco di qualche girono fa presso Latakia, porto siriano sul Mar Mediterraneo. Il sito aveva attribuito l’attacco a Israele, dicendo che nell’attentato si erano distrutti i missili russi Yakhont. Al Hakika ha aggiunto che i missili sono stati colpiti dal mare, da un sottomarino israeliano. Questa era la prima volta che un organo di stampa araba ha puntato direttamente il dito contro Israele. “Ci sono molte tensioni nella regione“, ha affermato il ministro della Difesa Moshe Ya’alon, martedì durante una visita a una base di addestramento. “I nostri confini sono tranquilli, ma non dobbiamo dare nulla per scontato. Stiamo seguendo quello che sta accadendo a Beirut. Si tratta di una battaglia tra sciiti e sunniti. Non stiamo intervenendo.” Alla domanda circa l’attacco di Latakia, ha detto che “non siamo stati coinvolti nella sanguinosa guerra in Siria. Abbiamo presentato le nostre linee rosse in Siria. Un’esplosione o un attacco aereo in Medio Oriente? Noi non siamo responsabili.” Yaron ha ribadito le linee rosse che indurrebbero un intervento israeliano in Siria: i tentativi di trasferire armi chimiche del regime di Assad, i tentativi di trasferire altre armi sofisticate a Hezbollah come missili anti-aerei, missili Yakhont o missili terra-terra. Interessante notare in ogni caso come i dirigenti dell’esercito israeliano nel loro comunicato per augurare ai musulmani un “buon mese di Ramadan”, abbiano attaccato verbalmente in modo pesante Hezbollah, come se si volesse dire ai musulmani “attenzione; il vostro nemico è il movimento libanese che combatte al fianco del tiranno Assad, reo di massacrare i musulmani nel mese sacro”. Nel comunicato si legge anche: “Ormai è chiaro a tutti che Hezbollah non è impegnato a difendere il Libano, ma a distruggerlo”.
I recenti avvenimenti in Siria e Libano, insieme con la tensione in Egitto, riflettono però le difficoltà che affrontano i leader israeliani. Non solo gli eventi che si svolgono rapidamente e inaspettatamente, ma anche la possibile risposta israeliana è al centro del dibattito. Israele, come ha detto Yaron, sta cercando di essere un attore marginale nel dramma arabo. Il dilemma è tra un intervento limitato nel tentativo di sventare una minaccia specifica, e la paura di essere trascinati al centro di eventi pericolosi. Al confine con l’Egitto, il principale sforzo di Israele è quello di prevenire attacchi da parte di organizzazioni islamiche nella penisola del Sinai, un fronte secondario nella loro battaglia con le forze di sicurezza egiziane. Israele può applicare una pressione diplomatica sull’Egitto, direttamente o attraverso gli Stati Uniti, nel suo desiderio di ristabilire l’ordine nel Sinai. Eppure, Israele è consapevole che la penisola non è in cima alla lista delle priorità del governo ad interim, in quanto cerca di assorbire la rabbia dei Fratelli Musulmani dopo la sua rimozione dal potere. Le Forze di Difesa israeliane possono affrontare le minacce terroristiche del Sinai solo quando i gruppi armati si avvicinano alla recinzione di confine. Sembra che senza ammetterlo, Israele sarebbe disposto a rischiare dei pericoli per salvaguardare il più prezioso accordo degli ultimi decenni – il trattato di pace con l’Egitto. Per queste ragioni, si lascia che l’Egitto violi l’allegato militare del trattato, che vieta le implementazioni dell’esercito egiziano nel Sinai. Sembra che ci sia un divario tra l’eccezionale tranquillità – per quanto riguarda l’approccio degli israeliani all’interno del paese – e il crescente rischio di problemi alle frontiere – in Sinai, nelle alture del Golan e in una certa misura al confine libanese. I confini sono tranquilli perché la maggior parte delle forze armate in Siria e in Egitto si stanno concentrando sulle loro lotte interne. Eppure, c’è una buona probabilità che con il tempo la violenza interna si rifletterà in tensioni con Israele.
La raccolta di sempre più militanti che si identificano con l’ideologia riconducibile all’estremismo religioso sembra rischiare di portare a tentativi di lotta contro Israele. Questo processo è già in corso, in un ambito limitato, al confine con l’Egitto. Questo dovrebbe accadere anche sul confine siriano. E’ uno scenario meno preoccupante di un confronto militare convenzionale con la Siria – di cui le probabilità sono più basse che mai a causa della guerra interna al paese arabo. Nel sud delle alture del Golan, vicino a dove Israele, Giordania e Siria si incontrano, si siede un avamposto Onu disertato dagli osservatori internazionali mesi fa, quando i combattimenti tra l’esercito siriano e i sunniti estremisti si sono induriti. Gli osservatori sono fuggiti, e l’avamposto ora è tenuto a bada da un piccolo gruppo di estremisti sunniti. Dal lato israeliano del confine si può facilmente individuarli. Quando non stanno combattendo le forze di Assad, spendono il loro tempo nella piccola piscina abbandonata dai soldati delle Nazioni Unite. Prima o poi si potrebbe cercare qualche altro passatempo sul lato occidentale del recinto. Israele cerca in tutti i modi di mantenere un profilo basso, senza coinvolgersi troppo in quello che assume sempre di più le sembianze di una completa deflagrazione del mondo arabo ai confini dello Stato ebraico. A Tel Aviv sono proprio sicuri di poter rimanere fuori dalle diatribe per sempre?

lunedì 8 luglio 2013

Iran: Informazione Scorretta intervista Ali Reza Jalali

26968_iran_flag.jpg_large_1_




Per farci spiegare l’attuale Iran abbiamo chiesto ad Alì Reza Jalali, ricercatore del Cesem  ed autore del libro Giustizia e Spiritualità
1) Ci sono state da poco state le elezioni in Iran. Puoi spiegarci chi ha vinto?
1- Le elezioni presidenziali in Iran, tenutesi lo scorso 14 giugno, hanno visto l’affermazione di Hasan Rohani, candidato sostenuto dalle forze di centrosinistra (ovvero moderati e riformatori). Egli ha vinto con il 51 percento dei consensi, in una tornata elettorale che ha visto una partecipazione superiore al 70 percento degli aventi diritto. Un ottimo risultato per il sistema istituzionale iraniano, vista la pesante campagna mediatica occidentale incentrata sul boicottaggio delle urne. Lo stesso J. Kerry qualche settimana prima del voto disse che le elezioni in Iran non erano credibili. Il corpo elettorale iraniano evidentemente la pensa in modo diverso. Rohani è un moderato, un pragmatico e il suo governo cercherà in politica interna la formazione di una coalizione ampia, basata sulle larghe intese, e cercherà di coinvolgere anche i conservatori moderati come Larijani, presidente del parlamento. Egli cercherà invece di escludere dall’esecutivo gli ahmadinejadiani, ovvero i nazional-popolari, e le persone vicine all’Ayatollah Misbah Yazdi, sapiente religioso di riferimento per i gruppi islamici più tradizionalisti.

2) L’occidente sui giornali è rimasto vago nel giudicare o spiegare il risultato. Come mai?
La reazione occidentale, nel complesso, è stata di soddisfazione, in quanto ha vinto un candidato che chiude l’era Ahmadinejad, caratterizzata da forti tensioni con l’Occidente, e evita la salita al governo di personaggi come Jalili, giudicati troppo rigidi e inflessibili nelle trattative sul nucleare. Diciamo che questa tornata elettorale in Iran, ha il pregio, tutto sommato, di soddisfare molti, sia in Iran, che all’estero. Gli unici che hanno dimostrato una completa chiusura e pessimismo, sono stati il governo israeliano, preoccupato per la salita la potere di un moderato a Tehran, che cercherà di migliorare i rapporti dell’Iran con l’Europa, e i falchi neoconservatori negli USA.

3) Che Iran abbiamo adesso? cosa cambia dalla guida Amhadinejad?
In politica interna cambia l’approccio con i vari poteri dello stato; Rohani, al contrario di Ahmadinejad, non sarà unilaterale, e non disturberà il lavoro dei vari centri di potere iraniani, sia quelli palesi (parlamento, magistratura, forze armate, Guida, sapienti religiosi), sia quelli occulti (gruppi di pressione in ambito economico). Sarà un governo all’insegna della pacificazione nazionale, o come ama dire uno dei principali sponsor di Rohani, ovvero l’ex presidente Rafsanjani, un governo di “unità nazionale”. In politica estera non cambieranno gli obiettivi strategici dell’Iran, ovvero l’affermazione regionale del cosiddetto Asse della Resistenza (Iran, Iraq, Siria, Libano, Palestina) e la sempre più integrazione dell’Iran nel sistema eurasiatico. Cambierà anche qui l’approccio, la dialettica. Rohani non andrà in giro per il mondo a fare i discorsi di Ahmadinejad, ma un paese serio, non cambia i propri obiettivi strategici con un cambio di governo. Gli USA hanno cambiato i loro obiettivi strategici in Medio Oriente con l’avvento del “moderato” Obama? No, hanno solo cambiato tattica. Anche l’Iran farà lo stesso.

domenica 7 luglio 2013

L'ASSE DELLA RESISTENZA DA UNA PROSPETTIVA GEOPOLITICA



Maggio 2013 

ALI REZA JALALI 

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una grande aggressività economica da parte degli Stati Uniti d’America e dei governi dell’Unione Europea nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran. Dobbiamo capire le ragioni strategiche e geopolitiche e le conseguenze di queste sanzioni. Prima di tutto, si può dire che al giorno d’oggi, la potenza egemone nelle relazioni internazionali è Washington, anche se la sua egemonia è in un periodo di declino. Lo strumento che ha usato l’amministrazione nordamericana per promuovere politiche aggressive contro i governi, stati o gruppi armati ritenuti pericolosi per la sua egemonia è la guerra, possibilmente effettuata da alcuni alleati o alleanze strategiche, come la NATO,  in Afghanistan o nel mondo arabo. Quando la guerra non poteva essere una valida opzione, a causa delle capacità militari dell’avversario, la strategia americana si concentra sull’uso di altri mezzi, come le sanzioni economiche. Nel caso dell’Iran gli occidentali hanno preferito tale strategia, perché la Repubblica Islamica è militarmente preparata. Ha una capacità missilistica sufficiente a colpire alcuni punti strategici degli avversari, come le basi americane in Medio Oriente o anche Israele, un alleato fondamentale di Washington nella regione. Un altro punto di forza dell’Iran nella regione, è la possibilità di contare su alleati importanti in caso di guerra, che potrebbero dare un sostegno fondamentale a Teheran: prima di tutti, Hezbollah e la Siria, che si trovano ai confini di Israele. Questo complesso di alleanze in Medio Oriente è l’”Asse della Resistenza“, e in questi anni questo asse è sotto attacco: la Siria da parte dei ribelli, che sono supportati dall’Occidente e l’Iran da “sanzioni economiche paralizzanti“, come i dirigenti di Washington hanno detto.
Perché l’Occidente vuole rompere l’alleanza strategica tra Iran, Siria e Hezbollah? Il motivo è geopolitico: il governo degli Stati Uniti è a conoscenza del fatto che nel prossimo futuro la Cina sarà la prima potenza economica del mondo e gli strateghi americani hanno paura della rinascita della Russia, che ora, insieme alla Cina, è tornata ad alzare la voce a livello globale e soprattutto in Medio Oriente, dopo venti anni di sonno profondo. Nei prossimi 10-20 anni, gli Stati Uniti devono fare qualcosa contro queste due grandi potenze, se vogliono rimanere l’unica superpotenza del XXI secolo. Il problema è che l’aggressione contro Mosca e Pechino è impossibile, a causa delle grandi capacità militari di questi due paesi. Quindi gli americani cercheranno in ogni modo di eliminare in Medio Oriente gli alleati delle due potenze eurasiatiche. In tutto questo progetto la Russia è vulnerabile per motivi geografici, vista la sua vicinanza allo scacchiere mediorientale, e la Cina è minacciata a causa della dipendenza energetica dal Golfo Persico. In pratica Mosca e Pechino sono più vulnerabili in Medio Oriente, che non sul proprio territorio. L’aggressione terroristica contro la Siria e la nuova destabilizzazione del Libano e dell’Iraq, sono le nuove strategie americane per accerchiare l’Iran, e isolare questo paese islamico dai suoi alleati nella regione. A causa della potenza militare iraniana e della sua posizione geografica, a ridosso dello Stretto di Hormuz, dove passa una parte consistente del petrolio mondiale, l’unico metodo che i nordamericani possono usare contro Teheran è il supporto a agitazioni in questo paese, e le sanzioni economiche sono una buona cosa per promuovere il malcontento nella popolazione, a causa dell’inflazione o altre questioni promosse dalle sanzioni contro l’economia iraniana. In questo modo, possiamo capire come la questione nucleare è solo un problema fittizio, ma il problema reale è l’egemonia della NATO e degli Stati Uniti in Medio Oriente, per distruggere l’”Asse della Resistenza”, preservare la sicurezza del più importante alleato regionale, Israele, e mettere in imbarazzo la Russia e la Cina, eliminandoli completamente dal Medio Oriente, dal Golfo Persico e un domani anche dall’Asia centrale, impedendo il risorgere di queste due potenze eurasiatiche. Da questo punto di vista geopolitico, l’evoluzione delle varie crisi del mondo islamico, soprattutto in quella zona che il governo neoconservatore statunitense aveva definito come il “Grande Medio Oriente”, ovvero lo spazio che ha come estremità, rispettivamente, da ovest a est, il Marocco e il Pakistan, stanno portando ad un chiaro obiettivo strategico: l’egemonia della NATO in Asia centrale.
Le guerre contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, e ora contro la Siria, hanno un comune denominatore: creare caos e instabilità in tutti questi paesi, con la speranza che le guerre che coinvolgono ogni nazione dopo l’intervento occidentale, abbiano delle ripercussioni sui paesi limitrofi. La guerra contro l’Afghanistan, oltre che gettare il paese nel caos, con una guerra che sembra non avere fine, ha avuto conseguenze disastrose sulla stabilità del Pakistan, che si trova ad affrontare il solito problema del terrorismo fondamentalista, un altro aspetto che emerge sempre in modo veemente da tutte le guerre americane degli ultimi dieci anni (e non solo) nel mondo islamico. Difficilmente possiamo trovare un giorno in cui non ci siano notizie di attacchi terroristici in Pakistan e in Afghanistan, per non parlare delle missioni dei droni americani, o altri atti di guerra sul territorio. Lo stesso è accaduto in Iraq dopo il 2003. L’intervento anglo-americano, piuttosto che stabilizzare il paese, è in realtà servito a frammentare lo stato mesopotamico, rendendo il governo centrale di Baghdad assolutamente impotente contro determinate ambizioni secessioniste, soprattutto nel nord del paese. Anche in questo caso, dopo l’arrivo degli americani, è iniziata l’infiltrazione di gruppi fondamentalisti, che prima della guerra del 2003, non avevano una speciale presenza sul territorio. Gli americani con il loro intervento in Iraq, hanno cercato di porre le basi per un attacco contro un altro paese della regione: in quei momenti i nomi più gettonati erano certamente l’Iran e la Siria. Il problema era che in caso di guerra, Israele rischiava una dura rappresaglia. Non a caso, gli sponsor principali della resistenza palestinese e libanese erano l’Iran e la Siria. Così, secondo l’analisi degli americani, prima di attaccare la Siria e la Repubblica Islamica dell’Iran, è stato necessario tentare di eliminare o indebolire gli alleati di questi stati. Questo è il motivo per cui, nel 2006, l’esercito israeliano ha attaccato il Libano con l’intenzione di eliminare una volta per tutte la questione di Hezbollah e la resistenza libanese, ma in 33 giorni di conflitto, l’esercito sionista non è stato in grado di sfondare il muro eretto dalla resistenza in Libano. La missione si concluse con un nulla di fatto, e da allora gli americani, in stretta collaborazione con i sauditi hanno cercato di studiare un nuovo piano per eliminare la resistenza di Hezbollah, ma agendo alla radice della questione, in Siria, da dove erano giunte le armi per il gruppo di Seyyed Hasan Nasrallah. Un progetto contro la Siria, tuttavia, richiedeva molto tempo e una seria organizzazione. Bush non sarebbe stato in grado di completare l’operazione. Con l’avvento di Obama, ci fu il tentativo da parte di alcuni paesi europei, in particolare da parte della Francia, di persuadere il governo siriano a non collaborare con l’Iran, Hezbollah e la resistenza palestinese, ma il governo di Damasco aveva sempre rifiutato. Il passare del tempo però non cambiava l’obiettivo: l’intrusione della NATO nel cuore dell’Eurasia, per mantenere la pressione sulla Russia e sulla Cina, sia da un punto di vista geopolitico, sia da un punto geo-economico, avendo così la possibilità di controllare la zona dalla quale Pechino si rifornisce di energia e i percorsi di petrolio e gas naturale, per creare problemi e fare da concorrenza alla Russia. Per non parlare della questione dei separatisti wahabiti nel Turkestan cinese e nel Caucaso. La diffusione di questi gruppi radicali, dall’Africa al Medio Oriente, è una grave minaccia per l’integrità territoriale di Mosca e Pechino; ciò rappresenta un punto fermo della politica anti-fondamentalista della Federazione Russa e della Repubblica Popolare di Cina.
L’instabilità diffusa nel mondo islamico, che oggi più che mai è allarmante per molti paesi della regione, prima o poi, avrà un impatto anche sulla Russia e sulla Cina. Possiamo dire che in tutto ciò l’”Asse della Resistenza”, ovvero l’alleanza tra alcuni gruppi palestinesi, la resistenza libanese guidata da Hezbollah, alcuni gruppi iracheni, la Siria e l’Iran, è un vero e proprio muro contro l’intrusione della NATO in Medio Oriente e Asia centrale, principalmente contro la Russia e la Cina. In pratica, se l’Occidente vuole completare la pressione da sud verso la Russia, deve senza dubbio creare una continuità territoriale tra Israele, Siria, Iraq, Turchia, Iran e Afghanistan. In questo progetto, i “posti vacanti” del puzzle sono essenzialmente la Siria e l’Iran, dal momento che Israele è il principale alleato degli Stati Uniti, non solo nella regione, ma in termini assoluti, la Turchia è un paese della NATO, l’Iraq è stato di fatto eliminato e neutralizzato attraverso lotte interne senza fine e l’Afghanistan sarà ancora occupato da basi militari USA dopo il 2014, l’anno in cui la NATO dovrebbe ritirarsi dal paese. Se gli Stati Uniti saranno in grado di abbattere il muro eretto da Siria e Iran, la NATO avrebbe il controllo totale della regione, mettendo la Russia e la Cina dinnanzi a un Medio Oriente e un mondo islamico totalmente filo-americano e filo-NATO. In questo senso, l’”Asse della Resistenza” è l’avanguardia contro l’infiltrazione completa degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia Centrale. Queste sono le vere ragioni delle sanzioni contro l’Iran. Questo paese è il capo di questo “Asse della Resistenza”. Gli effetti geostrategici e geopolitici delle sanzioni contro la Repubblica Islamica dell’Iran possono essere molto gravi se questo asse cadesse, a causa del collasso del governo siriano. Questo evento può isolare l’Iran nella regione e può essere il primo passo per un vero e proprio attacco militare contro l’Iran. Questo è il motivo principale per cui l’Iran, ma anche la Russia e la Cina, hanno deciso di sostenere il governo siriano, vittima di un’azione terrorista sostenuta dall’Occidente e da alcuni attori regionali come l’Arabia Saudita, un paese sempre interessato a mettere in difficoltà l’Iran.
Paradossalmente l’Europa in generale ha subito le conseguenze più gravi per quanto riguarda le sanzioni unilaterali contro l’Iran. Infatti, alcuni paesi europei hanno lasciato il mercato iraniano, ma questo non significa che l’economia iraniana si sia fermata. In effetti, i paesi asiatici, in particolare la Cina, hanno sostituito gli investitori europei nel commercio con l’Iran. Pechino è ormai il principale partner commerciale di Teheran, con un totale di 45 USD di relazioni bilaterali. Le sanzioni occidentali, invece di isolare l’Iran, hanno rafforzato i legami fra Teheran e paesi asiatici, rafforzando l’integrazione del continente, dal Mediterraneo a Shanghai, dalla Russia verso l’Oceano Indiano, passando per il crocevia strategico del continente eurasiatico, la Repubblica Islamica dell’Iran. In effetti, le sanzioni economiche occidentali hanno costretto l’Iran ad agire notevolmente sia all’interno che a livello internazionale, alla ricerca di nuovi e più forti partner rispetto l’Europa. Recenti rapporti dimostrano l’aumento, per quanto riguarda le esportazioni non petrolifere dell’Iran, nel corso dell’ultimo anno, e le trattative dell’Iran per esportare il gas verso il Mediterraneo attraverso la Siria e l’Iraq, per non parlare del nuovo gasdotto che porterà energia al Pakistan e forse anche in India, mostra come l’isolamento dell’Iran è un obiettivo difficile da raggiungere. Le sanzioni non solo non riescono a isolare l’Iran, ma lo costringono ad agire e a diventare più attivo nelle relazioni internazionali, rafforzando i legami con i paesi dell’Asia e delle economie emergenti, che entro il 2050 produrranno la metà del PIL mondiale.
In tutto ciò l’”Asse della Resistenza” non è solo un’alleanza militare a carattere difensivo anti-israeliano o anti-NATO, e nemmeno solo una sorta di avanguardia per l’Eurasia tutta, ma anche un agglomerato regionale, che unendo il Mediterraneo, ovvero il Libano e la Siria, all’Oceano Indiano (Iran), attraverso l’Iraq, ha la potenzialità di emergere come polo regionale economico e logistico, rafforzando la stabilità di tutto lo scacchiere asiatico. L’Europa in tutto ciò deve prendere una decisione storica: o rimanere ostaggio della NATO e delle politiche irrazionali degli USA e di Israele, o prendere una strada indipendente e avvicinarsi a Russia e Cina, ponendo le basi dell’unità eurasiatica, dalla Penisola Iberica a Shanghai.

sabato 6 luglio 2013

Ali Reza Jalali sugli ultimi avvenimenti egiziani "Mursi non ha voluto o potuto intraprendere cambiamenti concreti!"

http://palaestinafelix.blogspot.it/2013/07/le-riflessioni-di-ali-reza-jalali-sugli.html




Vi sono ancora troppe incognite nel nuovo corso degli eventi in Egitto, dopo il colpo di stato che ha messo fuori gioco il presidente Morsi, e anche le opinioni degli analisti sono contrastanti. I dati certi al momento sono: l'esercito, che ha sempre avuto in mano il potere effettivo nelle questioni strategiche, dai tempi di Nasser in poi, ha deciso di prendere in mano anche il potere formale, direttamente. I Fratelli Musulmani rischiano così un nuovo periodo di marginalizzazione dal potere politico del Cairo, andando in contro ad una seria sconfitta anche nella regione, considerando il fallimento del piano riconducibile alla caduta di Assad in Siria, dove la Fratellanza aveva il ruolo politico più importante nell'opposizione al governo damasceno. 

In Palestina il tutto costringerà, considerando anche il ridimensionamento del prestigio di Erdogan per le note proteste in Turchia, il movimento Hamas, a un nuovo riposizionamento, e quindi, presumibilmente, a supplicare una riappacificazione con l'Asse della Resistenza (considerando anche la transizione al potere in Qatar). Morale della favola: l'asse antisiriano mediorientale, Turchia-Qatar-Fratelli Musulmani ha subito in poche settimane un serio smacco, non di certo ostacolato dagli stessi USA, che dopo aver "usato", come spesso fanno, i loro "alleati", poi li sacrificano. Il problema è il seguente: non si può avere la pretesa che i nordamericani abbiano un approccio più "umano", ma possiamo avere la pretesa di un atteggiamento più lungimirante da parte dei leader politici del Medio Oriente. 

Anche se, ci rendiamo conto, che dato il materiale umano a disposizione, le nostre speranze potrebbero rivelarsi vane.

La dirigenza araba del dopo "primavere", si è dimostrata, tutto sommato, in continuità con i politici che l'aveva preceduta. In Egitto ad esempio, tutto quello che ha fatto Morsi, è stato quello di non fare nulla. Nessuna riapertura del valico di Rafah in modo permanente per consentire alla popolazione assediata di Gaza di respirare. Addirittura il blocco del valico è continuato anche nel periodo in cui, nel novembre dell'anno scorso, Israele lanciò un pesante attacco contro la Striscia, esattamente come aveva fatto Mubarak nel periodo 2008-2009. In un anno di potere in mano, Morsi ha cercato di barcamenarsi, ma non è riuscito, o forse non ha voluto compiere concretamente passi verso il cambiamento. Le sue posizioni sulla crisi siriana hanno destato molte perplessità e addirittura la decisione di troncare i rapporti diplomatici con Damasco, nel pieno di una offensiva dell'esercito di Assad per riconquistare alcune zone strategiche del paese in mano ai ribelli, ormai in chiara difficoltà, è sembrato un gesto molto goffo. 

La situazione economica dell'Egitto è poi peggiorata molto nel corso degli ultimi due anni, in un paese che dipende molto dal turismo, i viaggi degli stranieri, per ovvi motivi legati all'instabilità politica, sono diminuiti. Anche ciò ha avuto molto peso nelle proteste popolari contro Morsi, ma senza l'intervento dell'esercito, non vi sarebbe stata una caduta così rapida del presidente islamista. La Fratellanza Musulmana sembrava destinata a giocare un ruolo importante dopo la caduta di Mubarak e degli altri leader della regione. Dobbiamo essere onesti su questo punto: se i FM invece di allinearsi alle posizioni occidentali su molti temi, come la Siria, e la totale indifferenza sulla questione di Gaza, ripresa solo a parole (ma le parole venivano spese anche da Mubarak e dagli altri, la gente chiedeva azioni concrete, non chiacchere), forse ora, invece di una certa indifferenza popolare nei confronti della caduta di Morsi, vi sarebbero milioni di persone in piazza a difendere il loro leader, democraticamente eletto. E invece c'è il deserto o quasi. Morsi, grazie ai suoi errori e all'eccessivo conservatorismo della Fratellanza, ha perso tutto il consenso che poteva esserci per lui e il suo movimento politico. 

All'indomani della caduta di Mubarak, alcuni leader di rilievo dell'Ikhwan si recarono a Tehran, dall'Ayatollah Khamenei. In quell'occasione la Guida iraniana disse loro: "Esistono due tipi di musulmani: quelli che ritengono l'America molto potente, molto ricca, molto influente, e che quindi ritengono impossibile ed inutile un confronto con questa potenza; essi si mettono l'anima in pace e cedono dinnanzi alle pretese degli statunitensi. Vi è però un'altra categoria di musulmani. Questi ultimi pur ritenendo l'America molto potente, molto ricca e molto influente, pensano che in ogni caso, la potenza americana non sia superiore a quella di Dio. In questo modo essi assumono autoconvincimento e riescono a resistere, ricordando la grandezza divina, ad eventuali pretese eccessive degli USA". Il grido "Allah Akbar" (Dio è Grande) era sulla bocca dei Fratelli Musulmani, ma evidentemente nei loro cuori lo slogan più forte era: "Amrika Akbar" (l'America è grande). 
In ogni caso ora la situazione è molto complicata e bisognerà vedere dopo la transizione militare, l'esercito chi accetterà al potere; in questi giorno si è fatto il nome di El Baradei, che ha alle spalle alcuni gruppi liberali, nazionalisti, anche taluni islamisti (questi giorni in Piazza Tahrir vi erano anche alcuni piccoli gruppi sciiti a protestare contro Morsi), senza dimenticare però i fans di Mubarak, sempre pronti al reintegro, ammesso e non concesso che ci sia stata una vera defenestrazione degli uomini dell'ex rais.