sabato 21 dicembre 2013

Eurasiatismo e occidentalismo: correnti geopolitiche in Iran



Ali Reza Jalali



Il recente cambio di governo in Iran e l’oggettivo riposizionamento della politica estera di Tehran sono lo spunto per una interessane riflessione sui principali filoni geopolitici presenti nel paese mediorientale. Due sono le scuole di riferimento che hanno caratterizzato la sensibilità degli studiosi e dei politici, non solo negli ultimi decenni, ovvero dopo la rivoluzione del 1979, ma anche negli ultimi due secoli: la scuola “eurasiatista” e la scuola “occidentalista”.
La scuola o approccio eurasiatista in politica estera, ha fatto si che gli iraniani cercassero un’alleanza con le potenze orientali, principalmente la Russia, senza dimenticare l’attenzione per la Cina, anche se quest’ultimo paese è oggetto di interesse soprattutto negli ultimi 40-50 anni. Non a caso le relazioni diplomatiche ufficiali tra Iran e Cina risalgono, almeno in epoca moderna, al periodo della Guerra Fredda. Con la Russia invece il rapporto è stato ben diverso, anche perché al tempo degli Zar e poi anche dell’URSS, l’Iran aveva più di mille km di confine terrestre con il gigante eurasiatico, confine venuto meno solo dopo la caduta dell’Unione Sovietica, con la nascita a nord della Repubblica Islamica di nazioni indipendenti quali l’Armenia, l’Azerbaigian e il Turkmenistan. La “russofilia” di alcune cerchie dell’intellighenzia iraniana però, si è rafforzata soprattutto dopo la rivoluzione comunista di Lenin. Non pochi intellettuali iraniani, anche con incarichi istituzionali infatti, professavano simpatie marxiste, creando di fatto la base per una vicinanza tra Iran e URSS. Questa possibile alleanza fu però sempre ostacolata da un’altra corrente geopolitica e intellettuale molto forte, ovvero quella filo-occidentale.
Il filo-occidentalismo degli iraniani si esprimeva principalmente, almeno fino alla Seconda Guerra mondiale, in un filo-europeismo, basato sostanzialmente su tre filoni: gli anglofili, i francofili e i germanofili. In assoluto tra questi tre filoni quello anglofilo fu il più influente a livello politico e economico, mentre quello francofilo era più influente a livello culturale e giuridico. I germanofili invece iniziarono a crescere dopo la salita al potere di Hitler e l’avvento del nazismo. Gli intellettuali iraniani che avevano un approccio di simpatia nei confronti del pensiero nazionalsocialista erano affascinati dalla teorie razziali dei seguaci di Hitler, soprattutto per quello che riguarda l’esaltazione della razza ariana. In Iran poi questa idea veniva associata ad un forte odio nei confronti dell’Islam, in quanto questa religione era stata importata tra i popoli indoeuropei che abitavano l’altopiano iranico da genti semite (arabi), quindi da una razza inferiore, che mescolandosi con gli “ariani” dell’Impero Sasanide, avevano corrotto la purezza iranica e indoeuropea (ariana appunto). Queste idee si svilupparono molto in Iran e raggiunsero addirittura la famiglia reale dei Pahlavi. Reza Khan, pagò a caro prezzo la sua simpatia nei confronti di Hitler e la sua scelta di nominare un premier filo-tedesco in piena Seconda Guerra mondiale, gli costò la deposizione da parte di inglesi e russi.
In generale però, se volessimo semplificare, le due correnti principali che si fronteggiavano in Iran erano quella filo-inglese (occidentalismo) e quella filo-russa (eurasiatismo). Dopo la fine della Guerra mondiale e la creazione di un nuovo equilibrio globale basato sulla contrapposizione tra USA e URSS, gli occidentalisti iraniani iniziarono a guardare con più interesse un’allenza con la nuova potenza emergente nordamericana, segnando così il ridimensionamento dell’influenza europea nel paese mediorientale e in tutta l’area dell’Asia sud-occidentale. Al tempo dell’ultimo re iraniano, Mohammad Reza Pahlavi, senza ombra di dubbio la corrente occidentalista aveva avuto la meglio. Ciò non vuol dire che l’Iran non avesse relazioni con l’URSS, basterebbe pensare che l’industria dell’acciaio in Iran è stata concepita grazie a una stretta collaborazione con Mosca negli anni ’60-’70. Le principali acciaierie iraniane ancora oggi si trovano nella città di Isfahan, dove opera la più impotante acciaieria iraniana, la “Foolad-e Mobarake“, costruita ai tempi dai sovietici. Ma dal punto di vista strategico l’Iran era un paese saldamente nell’orbita occidentale, come dimostrano le varie alleanze militari di Tehran con Turchia e Pakistan, in funzione di contenimento dell’URSS. Non a caso a livello politico i due filoni che si opponevano al regime filo-USA dei Pahlavi erano quelli islamici e marxisti, entrambi con varie sfumature al proprio interno, ma con un ideale geopolitico chiaro: l’alternativa terzafazionista o eurasiatista in contrapposizione all’ideale occidentalista delle autorità.
Con la rivoluzione del 1979 e l’egemonia islamica in Iran, inziò un periodo in cui ufficialmente i governanti di Tehran esprimevano un approccio geopolitico formalmente terzafazionista, sintetizzato nello slogan “na sharqi, na qarbi, jomhurie eslami“, ovvero “né orienale, né occidentale, repubblica islamica“. Nei fatti però, soprattutto per via della chiusura dell’ambasciata USA a Tehran dopo la presa degli ostaggi nel novembre del 1979 (1), l’Iran ha avuto una relazione privilegiata con le potenze orientali, basterebbe dire che l’arsenale bellico dell’Iran derivava principalmente da paesi come Corea del Nord, Cina e URSS. Con la rivoluzione islamica però, non vi fu la completa eliminazione della componente occidentalista in seno alle istituzioni iraniane, ma una sua, per così dire, trasformazione e mimetizzazione. Queste correnti ogni tanto riescono a imporsi in modo più o meno celato. Ciò avvenne per esempio nella seconda metà degli anni ’90, col governo Khatami e oggi sembra riaffiorare un certo occidentalismo anche nel governo Rohani.
La netta cesura tra l’approccio evidentemente eurasiatista di Ahmadinejad e quello occidentalista del team di diplomatici che operano sotto il governo di Rohani, è riscontrabile da diverse azioni e esternazioni dei due leader che si sono dati il cambio al vertice dell’esecutivo di Tehran. Ahmadinejad ha basato la propria politica estera nello scacchiere asiatico sulla vicinanza con la Cina. Più di una volta l’ex leader iraniano ha detto che lo sviluppo della Cina è un bene per tutta l’umanità. Inoltre Ahmadinejad tra le sue prime azioni in politica estera ha promosso le relazioni bilaterali con Mosca, volendo aprire anche un apposito ufficio per l’Eurasia presso il ministero degli Esteri. Non a caso alcuni intellettuali hanno definito l’approccio di Ahmadinejad come “sguardo a oriente” (2). L’eurasiatismo di Ahmadinejad è poi stato avvalorato dal suo approccio molto duro e intransigente con le potenze occidentali, sia con gli USA che con gli inglesi.
Hassan Rohani, eletto nel giugno 2013 invece, si è subito distinto per una evidente voglia di cambiamento, in senso filo-occidentale. Questo evidentemente non vuol dire che l’Iran non è più un paese alleato di Russia e Cina, ma comunque vi è stato un cambiamento nella visione di politica estera dell’Iran. Basterebbe citare una recente intervista di Rohani nella quale egli criticando il precedente governo iraniano disse, in senso denigratorio: “Nei precedenti otto anni abbiamo lavorato solo per creare posti di lavoro in Cina e Corea“. Come per dire che l’impegno eurasiatico del governo Ahmadinejad ha creato benefici solo per i partner orientali, ma non per l’Iran.
Oggi la Repubblica Islamica, nonostante il cambiamento impresso da Rohani in politica estera, rimane un paese vicino alle potenze orientali. Il principale partner economico di Tehran rimane la Cina, e la tecnologia militare iraniana è e sarà ancora per molto legata agli sviluppi di modelli sovietici. L’Iran nei prossimi anni e finché sarà guidata da Hassan Rohani sarà una nazione integrata nel sistema eurasiatico, ma con una finestra aperta a ovest, soprattutto verso l’Europa. Con Hassan Rohani il filone occidentalista iraniano ha preso nuova linfa, ma questa intellighenzia dovrà confrontarsi seriamente col blocco eurasiatista, che potrebbe ripresentarsi alle prossime elezioni, confermando ancora questo ormai secolare scontro tra occidentalisti e eurasiatisti nella “Terra degli Ariani”.
1- Secondo alcuni intellettuali iraniani addirittura la presa degli ostaggi all’ambasciata USA di Tehran, sarebbe stato un progetto di elementi marxisti infiltrati nel movimento islamico, proprio per costringere le autorità iraniane ad avere un approccio più morbido con l’URSS. Questa tesi è stata riproposta da Sadeq Zibakalam, intellettuale riformista iraniano, con un chiaro approccio occidentalista, in chiave di denigrazione nei confronti della presa degli ostaggi. Addirittura recentemente Zibakalam, professore all’Università di Tehran, ha negato che gli USA abbiano sostenuto Saddam contro l’Iran, dicendo che l’antiamericansimo della Repubblica Islamica deriva non dall’essenza della rivoluzione, che sempre secondo Zibakalam, non aveva tratti anti-americani, ma da una successiva deviazione derivante dal contatto del movimento islamico con elementi marxisti-leninisti.
2- Questo concetto è stato coniato da Sepehr Hekmat, coautore insieme a chi scrive, del volume “Giustizia e spiritualità. Il pensiero politico di Mahmoud Ahmadinejad“, pubblicato nel 2013 da Anteo Edizioni con la collaborazione del Centro Studi Eurasia-Mediterraneo.

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