venerdì 23 agosto 2013

Scoppia la faida tra Turchia e Arabia Saudita?





A cura di Ali Reza Jalali 



Dopo un periodo di difficoltà, le relazioni tra la Turchia e l'Arabia Saudita sembravano essere migliorate molto, per via di una serie di interessi comuni in ambito strategico, regionale e economico. Le relazioni si erano rafforzate soprattutto grazie alle rivolte nel mondo arabo, per via del supporto dei due paesi alla ribellione in Siria e all'interesse comune di fermare l'espansionismo iraniano in Medio Oriente. Ma il colpo di stato egiziano ha reso questa partnership meno intensa, per via delle due visioni contrapposte riguardo alla caduta del presidente egiziano Mohammed Morsi. 


La leadership turca ha chiaramente espresso il proprio dissenso per la deposizione di un governo islamista ideologicamente affine al partito di Erdogan. Il premier turco è arrivato a chiedere l'intervento delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza per fermare quello che egli ha definito il massacro del popolo egiziano da parte dei militari golpisti. Sembra che alcuni dirigenti turchi siano arrivati ad affermare: "Come è possibile che un paese che si autoproclama avanguardia e custode dell'Islam, possa sostenere un colpo di stato contro un governo islamista democraticamente eletto?"


La leadership turca ha fatto anche un appello alla Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), e al suo capo, il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, per condannare il colpo di stato. Il Vice Primo Ministro di Ankara, Bekir Bozdag, ha rimproverato Ihsanoglu per l'inerzia dell'organizzazione a seguito della pesante repressione dell'esercito egiziano contro i manifestanti dei Fratelli Musulmani. Bozdag addirittura ha invitato il capo dell'ente internazionale a dimettersi per "passività disonorevole". Tuttavia, non è chiaro se questa situazione di stallo attuale avrà conseguenze negative di lunga durata per la cooperazione tra i due paesi. L'Arabia Saudita ha bisogno della Turchia in Siria, mentre la Turchia resta desiderosa di attirare maggiori investimenti sauditi, stimati oggi a più di 1,9 miliardi di dollari.





Dal qualche tempo però, i media filo-governativi turchi hanno iniziato una pesante campagna mediatica contro i sauditi e altri paesi del Golfo Persico, per il loro sostegno al colpo di stato, definendo i legami tra tali paesi come una sorta di "asse del male", con storie sensazionali, come la vicenda della presunta esternazione dalla figlia dell'emiro di Dubai, Al Maktoum: "La strage in Egitto viene effettuata tramite il nostro denaro." La Turchia è un paese della regione mediorientale in cui gli islamisti, i laici, i progressisti e i liberali, a oggi, anche se per motivi diversi, concordano su una immagine negativa dell'Arabia Saudita. Sui media sauditi invece, mentre la partnership turco-saudita è ufficialmente celebrata come una grande nuova alleanza strategica, la stampa saudita lancia di tanto in tanto attacchi contro il "sultano Erdogan", volenteroso di costituire un nuovo impero ottomano, a scapito degli arabi.


Gli attacchi più feroci però hanno una valenza religiosa, contro una Turchia accusata di applicare un Islam approssimativo, tollerante del consumo di alcol e della dissolutezza nei quartieri frequentati dai giovani a Istanbul. La tradizione Sufi della Turchia si trova all'estremità opposta della visione salafita saudita, visione che ancora oggi, nel XXI secolo, non permette alle donne di guidare l'automobile. Tali attacchi riecheggiano quelli che emersero nell'Ottocento, quando l'espansione wahhabita in Arabia e le continue vessazioni dei pellegrini spinsero il sultano ottomano a riaffermare la sua autorità sulle città sante di Mecca e Medina. Ironia della sorte, nel 1818 il sultano invocò l'aiuto dell'esercito egiziano sotto la guida di Ibrahim Pascià per liberare la regione dall'influenza saudita.




Quando iniziarono le rivolte nel mondo arabo, i media sauditi respinsero qualsiasi processo di democrazia islamica sul modello turco o anche egiziano, e proposero una via saudita allo sviluppo e all'Islam. Fuori dai confini nazionali però, non ci sono forze di governo che siano interessate a questo modello salafita, in quanto, come abbiamo visto, gli stessi Fratelli Musulmani, guardavano con convinzione più alla Turchia. Recentemente, un giornalista saudita ha scritto un articolo sul quotidiano al-Riyadh riguardo la Fratellanza Musulmana e il cosiddetto "Erdoganismo"; l'articolo era molto critico della politica turca e ha indotto l'ambasciatore turco a Riad, Ahmad Gun, a inviare una risposta, pubblicata nello stesso giornale. Egli ha affermato che l'articolo scritto dal giornalista saudita era aggressivo e ingiusto. Ha elogiato la stretta collaborazione tra i due stati, e chiarito l'eredità positiva dell'Impero Ottomano. Questo patrimonio comune ottomano appartiene a tutti i musulmani, secondo l'ambasciatore. Uno Stato democratico civile in Egitto, che attinge la sua legittimità dal costituzionalismo è ciò che la Turchia vuole per gli egiziani, ha scritto l'ambasciatore.


Questa guerra mediatica è destinata a continuare tra l'Arabia Saudita e la Turchia, mentre le due dirigenze lottano per mantenere la patina del partenariato. Entrambi i paesi hanno bisogno l'uno dell'altro in punti caldi fuori dall'Egitto, principalmente in Siria, dove dopo lo scoppio della rivolta, non sembra esserci fine alla guerra che contrappone i rivoltosi sponsorizzati da Ankara e Riad alle forze governative vicine all'Iran. In ogni caso la diatriba tra Arabia e Turchia, almeno a livello mediatico, ma forse anche diplomatico, sembra favorire il governo siriano, pronto a sfruttare al meglio anche le divergenze emerse tra l'opposizione armata, con gli scontri crescenti tra Al Nusra (sponsorizzata dai sauditi) e i filo-turchi dell'esercito libero (Fratelli Musulmani e altri gruppi minori).  

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