martedì 6 agosto 2013

Dossier Iran


Riportiamo di seguito un dossier a cura di Angela Lano sull'Iran, apparso sul sito http://www.rivistamissioniconsolata.it







1. Iran: L’ayatollah e il presidente


IRAN Agosto-Settembre - 2013Angela Lano


L’enigma Iran (dopo le elezioni di giugno). La teocrazia sciita: una lettura alternativa.

di Angela Lano, orientalista



I «cattivi» hanno un nuovo leader


«Sono felice che finalmente il sole della razionalità e della moderazione torni a brillare in Iran», così ha esordito, sorridendo, il neopresidente della Repubblica islamica dell’Iran, esprimendo il desiderio che l’Occidente assuma verso il suo paese un atteggiamento diverso dal recente passato, «basato sul reciproco rispetto e sull’equità».

Dal 15 giugno lo «Stato canaglia» (secondo la definizione Usa) ha dunque il suo nuovo  presidente, il settimo (l’11° se contiamo i tre ad interim): è il clerico sciita Hassan Rohani, colto, poliglotta, conservatore moderato ma aperto a nuove relazioni con l’Occidente. È stato eletto al primo mandato, diversamente da come molti si aspettavano, con la maggioranza assoluta dei voti, raccolti sia tra i sostenitori della linea riformista sia tra i conservatori.


L’esclusione, da parte della Guida suprema ’Ali Khamenei, della candidatura, tra le altre, dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, una figura carismatica (ancorché controversa) che avrebbe probabilmente attratto molte preferenze, ha favorito l’unico rappresentante dei moderati.


Lo slogan di Rohani è stato: «Moderazione, razionalità e acume» ed evidentemente è risultato vincente rispetto a quello di altri candidati, conservatori e piuttosto popolari, come il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, o l’ex ministro degli Esteri, Ali Akbar Velayati.


L’embargo, e i suoi drammatici effetti sulla vita economica e sociale del paese, e il boicottaggio internazionale, le sanzioni, la propaganda occidentale, che descrive l’Iran come una nazione di folli, saranno tra le questioni principali che il nuovo leader dovrà affrontare, in quanto centrali per gran parte della popolazione. Nel frattempo, egli ha già incassato i commenti positivi della Casa Bianca, e soprattutto dichiarazioni di disponibilità a «impegnarsi con il nuovo governo iraniano per trovare una soluzione diplomatica sul fronte del nucleare». Anche dall’Europa non sono mancati commenti favorevoli e di apertura.


Una società vivace e dinamica


La vittoria di Rohani è stata salutata con entusiasmo dai sostenitori delle linee riformista e moderata, che vedevano in Khatami, Karrubi, Rafsanjani, Mussavi dei leader che avrebbero potuto garantire al paese un’apertura verso la comunità internazionale e un allentamento del controllo esercitato dal clero, che - per una parte della società iraniana - rappresenta un motivo di tensione sociale e malcontento.


Gli iraniani non sono, infatti, una massa monolitica e uniforme, orientata in modo unidirezionale. Si possono trovare tante idee diverse, sentimenti, bisogni, storie e speranze. Le giovani generazioni, colte, poliglotte, vogliono poter viaggiare per il mondo, lavorare e fare carriera, e anche divertirsi. Diversi di loro contestano le rigidità morali e religiose del regime e vorrebbero più concessioni e più aperture, soprattutto in tema di relazioni interpersonali, tempo libero, e di comunicazione virtuale  - internet e i social network, che - dopo la rivolta del 2009 (scatenatasi dopo la rielezione del presidente Ahmadinejad) - hanno subito un giro di vite, con censure, filtri e controlli.


«In Iran - ci spiega Ali Reza, ricercatore italo-iraniano di studi geopolitici -, le università sono il luogo prediletto della militanza, e il clima, al contrario di quello che si pensa, è molto dinamico. Proprio qualche tempo fa ho potuto constatare come negli atenei vi è una vivacità politica dei giovani, simile a quella che c’era in Italia negli anni ‘60 e ‘80. Nelle università iraniane e negli ambienti della militanza giovanile c’è veramente di tutto. Senza ombra di dubbio l’ambiente più libero per il dibattito politico in Iran è l’università. Ricordo, addirittura, che qualche anno fa fu organizzato un concerto di un gruppo heavy-metal nell’auditorium dell’Università di Teheran. Il tutto ovviamente era illegale, ma si fece ugualmente. Mi faceva sorridere molto l’immagine dell’imam Khomeini e della Guida attuale, ayatollah Khamenei, che sovrastava l’ingresso all’auditorium, con i metallari che lepassavano sotto. Anche questo è l’Iran, un paese strano. Per ciò che riguarda la libertà religiosa devo dire che in Iran, in base alla Costituzione, oltre all’Islam (anche sunnita), sono ufficialmente riconosciute le comunità cristiane, ebraiche e zoroastriane. A Teheran vi sono diverse chiese. Questo paese, senza ombra di dubbio, non è retto da un sistema liberaldemocratico, ma il fatto che lo stato sia islamico non vuol dire per forza che viga un regime talebano».




«Perché vi facciamo paura?»

Quella iraniana è una società accogliente e cordiale, con un alto livello scolastico, orgogliosa della propria antica civiltà. L’immagine che si ha viaggiando per il paese, fermandosi a chiacchierare con la gente, visitando le sue vestigia storiche, e scoprendo la sua millenaria cultura, è ben diversa da quella dipinta da molti media italiani e occidentali in generale, e dal film premio Oscar Argo, una produzione politica hollywoodiana di mera propaganda, che ritrae gli iraniani come dei pazzoidi barbuti, violenti e pericolosi.


Le domande più frequenti che essi rivolgono a turisti, amici e giornalisti stranieri sono: «Perché vi facciamo paura?», «Perché ci odiate?», «Perché ci avete messi sotto embargo?», «Perché pensate che abbiamo intenzioni belliche nei vostri confronti?».


Vogliono capire, nel modo curioso e simpatico che li contraddistingue, le ragioni di tanto livore e sfiducia nei loro confronti. Ragioni a cui non è affatto estranea la controversa «questione nucleare», molto enfatizzata negli Usa e in Israele e seguita a ruota dall’Europa, e che il nuovo presidente dovrà affrontare.


Il nucleare, Israele e il mondo 

Spiega bene le cause dei timori occidentali Giorgio Frankel, storico ebreo torinese (morto l’anno scorso), nel suo interessante libro L’Iran e la bomba: «Il profilo comportamentale di un futuro Iran nucleare proposto dai media afferma che l’Iran è irrazionale e fanatico, votato alla distruzione di Israele e alla conquista del mondo, immune da quella fondamentale logica della deterrenza che anche durante la Guerra fredda ha assicurato uno stabile equilibrio nucleare a livello globale, e quindi disposto a subire devastanti contrattacchi nucleari pur di poter lanciare le sue (future) armi atomiche contro i suoi avversari. (…) Alcune delle caratteristiche che quel profilo attribuisce all’Iran, come per esempio l’irrazionalità, la politica estera dominata dal fanatismo ideologico e l’espansionismo potrebbero essere semplicemente non vere. L’esperienza storica suggerisce, infatti, che il regime iraniano si muova razionalmente, conduca una politica estera cauta e pragmatica e non persegua mire espansionistiche».


L’Iran ha deciso di arricchire l’uranio al 20 per cento per fini civili, per far funzionare, ad esempio, il Tehran Research Reactor che produce sostanze mediche per i malati. Sia gli Usa e Israele sia l’Europa hanno spesso accusato il Paese di perseguire la ricerca nucleare per fini bellici, nonostante le ripetute smentite di Teheran, che ha ricordato che, in quanto firmatario del Trattato di non proliferazione (Tnp) e membro dell’International Atomic Energy Agency (Iaea), è nel diritto di sviluppare tecnologia nucleare per scopi pacifici.


Il braccio di ferro tra le richieste occidentali, pilotate dagli Stati Uniti e Israele, e le rivendicazioni del governo iraniano hanno portato più volte crisi tali da far intravedere alle porte una svolta militare, con navi da guerra posizionate nel Golfo Persico, sia da parte americana sia da parte iraniana.


Dal canto loro, sia il regime di Tel Aviv sia i falchi del Congresso Usa continuano a spingere verso il conflitto, ma senza convincere per il momento del tutto né Washington né la comunità internazionale.


La guerra intraislamica e la Siria

L’attuale guerra civile in Siria, oltre a voler abbattere l’ormai difficilmente difendibile (dal punto di vista etico-morale) regime di Bashar el-Assad, si inserisce nel contesto dei conflitti regionali volti a indebolire l’Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah, alleati di Damasco, e a destabilizzare i grandi interessi russi e cinesi in Medio Oriente.


Il caos creato dalla guerra civile intra-islamica (fitna, disaccordo, disputa, fino alla guerra) tra sunniti e sciiti, avversari storici dai tempi della lotta per la successione (khilafa) del profeta Muhammad (dal 632 d.C. in poi), risulta funzionale alla nuova spartizione statunitense-europea del Mediterraneo e Medio Oriente.


Il conflitto interno al mondo islamico sta prendendo sempre più forza e radicalità, grazie ai continui appelli al jihad (sforzo interiore sulla via del Bene, e anche, come in questo caso, lotta militare) contro gli alawiti (setta sciita) al potere in Siria, definiti kuffar (miscredenti) e rafidi (rinnegati), da parte di telepredicatori salafiti piuttosto popolari tra le comunità islamiche nei paesi arabi e anche in Europa.


Leggendo qua e là nei siti arabi o su Fb i tanti appelli e commenti che istigano al conflitto settario si comprende bene la dimensione della tragedia in corso e la morte di ogni forma di ragione: giovani e adulti musulmani sunniti, di origini o convertiti, nel XXI secolo hanno ripreso le armi (anche solo verbali) per la nuova guerra contro gli «eretici», e a nulla valgono i discorsi dei loro fratelli più informati o semplicemente più razionali, che tentano di far capire loro la trappola politica in cui sono cascati.


Un conflitto di natura geo-politica si è dunque trasformato in guerra di religione, grazie al ruolo e al sostegno economico e mediatico-dottrinale di Qatar e Arabia Saudita, stretti alleati di Stati Uniti, Israele ed Europa.


«Il crollo dell’Urss - aggiunge Ali Reza - non ha modificato l’obiettivo vero degli Usa nel continente eurasiatico, ovvero l’accerchiamento geopolitico della Russia (e della Cina). In un contesto del genere l’Iran ha un ruolo importante, in quanto se la Repubblica islamica si alleasse con la Russia, gli Usa non riuscirebbero a completare l’accerchiamento di Mosca da sud, in Medio Oriente, dopo che il crollo del blocco sovietico ha proiettato la Nato a ovest dei confini russi. Le sanzioni all’Iran promosse dall’Occidente, quindi, non sono nate, come ufficialmente viene detto, per evitare che il paese mediorientale arrivi alla bomba atomica (esse infatti vigevano anche prima che si sapesse del programma nucleare), ma solanto per creare problemi all’economia iraniana, fomentando il caos sociale nella speranza di una sommossa popolare».


In questo momento storico, dunque, il progetto americano di destabilizzazione del Vicino e Medio Oriente è appoggiato, in vario modo e con consapevolezze diverse, da quel mondo sunnita fondamentalista per cui un «nemico» esterno è meglio di un «eretico» interno.




Con l’uso della ragione

Tra sunniti e sciiti ci sono basi comuni che poggiano su Corano e hadith (i detti e fatti del profeta Muhammad) e sviluppi teologici e giuridici diversi, alcuni quasi contrapposti: oltre alla fondamentale divergenza sull’imamato (vedi box), esiste anche un differente peso dato all’esercizio della ragione e dell’intelletto. Gli sciiti, infatti, usano lo ‘aql o ijtihad, «raziocinio individuale» al posto del qiyas (una delle fonti del diritto musulmano, usul al-fiqh) che si basa sul principio di analogia per induzione (cioè l’analisi di casi simili nella produzione di  leggi), utilizzato dai sunniti. Dal secolo X, sono prevalentemente gli sciiti a far riferimento allo ijtihad, mentre i sunniti praticano il taqlid, o accettazione, imitazione, e principio dell’emulazione.


Se per gli sciiti l’uso del ragionamento individuale, e la ricerca continua che ne deriva, è causa-effetto di maggiore apertura mentale e vivacità culturale rispetto ai sunniti (e ai fondamentalisti in particolare), il vilayat-e faqih  (la tutela dei giuristi), cioè l’autorità di dirigere e governare nella prosecuzione della «vilayat degli infallibili Imam» (a sua volta continuazione di quella del profeta Muhammad), va a istituire le linee costitutive della teocrazia.


Per lo sciismo, infatti, a guidare e governare la società deve essere un conoscitore dell’Islam, che sarà un Infallibile. Se costui non dovesse essere presente, saranno gli scienziati, giuristi, islamici a svolgere tale ruolo. Dovere fondamentale del governo è quello di farsi veicolo e tutore degli ideali e delle leggi divine.


La teocrazia iraniana

La forma di governo iraniana è oggetto di incomprensioni e speculazioni, e paragoni con i sistemi politici occidentali. Tuttavia, va sottolineato che i parallelismi non funzionano, in quanto bisogna tenere conto di una peculiarità: l’Iran è una teocrazia basata su un sistema elettorale universale democratico. La religione e il clero detengono il vero potere. Nella Repubblica islamica lo stato e i suoi funzionari sono sottoposti al potere religioso: la Costituzione, infatti, prevede un sistema misto di democrazia e teocrazia. Quest’ultima si basa su un concetto giuridico sciita duodecimano (la forma di sciismo al potere in Iran), il sopracitato vilayat-e faqih, ripreso da Ruhollah Khomeini dopo la Rivoluzione islamica del 1979 che scacciò il regime dello shah Reza Palhavi.


Secondo questo concetto, i giuristi sono gli unici governanti giusti, in quanto «Dio ha ordinato un governo islamico». Solo gli esperti in studi religiosi e nella giurisprudenza islamica «possono garantire e preservare l’ordine islamico e prevenire di deviare dal giusto sentiero dell’islam» («Islam and Revolution, Writigns and Declarations of Imam Khomeini»).


In base a tali criteri, dunque, anche il presidente della Repubblica è subordinato all’ordine religioso e alla linea politica interna ed estera dettata dai Guardiani della rivoluzione, gli ayatollah.


Di per sé, il «piano religioso» non preclude né lo sviluppo economico né quello scientifico e culturale, e la storia degli antichi Imperi islamici (ommayyadi, abbassidi, i regni fatimidi, la dinastia Ottomana, tanto per fare un esempio) lo ha dimostrato, attraverso l’importante e vasto bagaglio scientifico-filosofico-tecnologico-urbanistico passato all’Europa Medioevale dal mondo arabo-musulmano.


Nonostante l’embargo

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’Iran è la 17ª potenza economica del mondo, e, in base al piano strategico di Tehran denominato «Iran 2035», nel prossimo ventennio dovrebbe far parte delle prime sette potenze economiche del mondo. Ci spiega ancora Ali Reza: «Nonostante il pesante embargo economico e le difficoltà, le statistiche dimostrano che nell’ultimo ventennio la giustizia sociale è aumentata, così come il benessere generale. Negli anni ‘80 in Iran c’era un’automobile ogni 27 persone, oggi invece un’automobile ogni 7. Sull’isolamento politico e diplomatico dell’Iran bisogna dire che, in primo luogo, la Repubblica islamica è a capo del Movimento dei paese non allineati, ovvero un gruppo di 120 nazioni. È un paese membro osservatore del Trattato di Shanghai per la Cooperazione, alleanza eurasiatica che riunisce Russia, Cina, India e altri paesi di questo agglomerato imponente di nazioni che vanno dalla Bielorussia all’Estremo Oriente. Entro il 2050 questi paesi, nel loro complesso, produrranno circa la metà del Pil (prodotto interno lordo), reale e nominale, del mondo intero».


Per lo «Stato canaglia» si profila dunque un presente e un futuro pieni di sfide che la sua popolazione sembra voler affrontare, e vincere.•


 

       Hassan Rohani, il presidente                                                                    

Chi è il settimo presidente della Repubblica islamica dell’Iran? Certamente un ortodosso, ma moderatamente progressista.


A seguito delle elezioni del 14 giugno 2013 Hassan Rohani, 64 anni, è diventato il 7° (11° se si contano gli interim) presidente della Repubblica islamica dell'Iran. Rohani ha conquistato già al primo turno il 50,7 per cento dei voti (18,6 milioni), precedendo il sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf. Rohani è nato a Sorkheh, nella provincia di Semnan, il 13 novembre del 1948, da una famiglia religiosa. Nel 1972 si è laureato in Legge all’Università di Teheran, e successivamente ha ottenuto un Master e un PhD alla Glasgow Caledonian University. Rappresenta il leader della Rivoluzione islamica, l’ayatollah  Seyyed Ali Khamenei (si veda box) al Consiglio supremo della sicurezza nazionale. In gioventù aveva preso parte alle lotte politiche contro lo Shah. Dopo la Rivoluzione islamica del 1979, Rohani fu eletto al Parlamento per cinque mandati consecutivi, fino al 2000, e ricoprì cariche importanti: vice-presidente del Majlis (Consiglio) e capo dei Comitati di difesa e politica estera. Durante la guerra con l’Iraq (1980-1988) fu comandante dell’aviazione militare iraniana. Rohani parla fluentemente inglese, arabo e persiano. Ha scritto oltre un centinaio di libri e articoli. È stato negoziatore nucleare iraniano negli anni 2003-2005. Nella campagna elettorale Rohani ha rappresentato riformisti e i moderati; l’altro candidato riformista, Mohammed Reza Aref, si era ritirato su invito dell’ex presidente Mohammad Khatami. Rohani ha attratto i voti non solo di quella parte del paese schierata con riformisti e moderati, ma anche dei cittadini stanchi degli effetti dell’embargo e dell’isolamento diplomatico del paese. Dei sei candidati, Rohani era considerato l'unico moderatamente progressista, intenzionato a liberare i prigionieri politici e a riallacciare i legami con l'Occidente. •


 

       Ayatollah Khamenei, la Guida suprema                                                    

Sopra il presidente della Repubblica c’è il leader della Rivoluzione islamica. Perché sopra la politica c’è la religione. Questa è la teocrazia iraniana.


Il leader della Rivoluzione dell’Iran (vali-e faghih-e iran o anche rahbar-e enghelab) è la maggiore autorità politica e religiosa del paese. Il ruolo fu istituito dalla Costituzione iraniana in accordo con la Guida dei giuristi islamici, a seguito della Rivoluzione del 1979, e dal giugno del 1989 è ricoperto dall’ayatollah ‘Ali Khamenei, che succedette a Ruhollah Khomeini. Il leader supremo è più potente del presidente della Repubblica. Egli nomina i dirigenti di diversi importanti incarichi nazionali - militari, governativi, della magistratura, dei mezzi pubblici di informazione -, orienta la politica estera della nazione e decide della pace e della guerra. Decide la lista dei nomi dei candidati per le elezioni del potere esecutivo e legislativo sia a livello nazionale sia locale, così come nomina 6 dei 12 membri del «Consiglio dei guardiani», una sorta di Corte suprema, che giudica la costituzionalità delle leggi approvate dal Parlamento. Il suo potere non può essere messo in discussione, in base al principio del velayat-e-faqih che stabilisce la supremazia della religione sulla politica, dell’ambito spirituale rispetto alle questioni materiali. La Costituzione richiede che il Leader della Rivoluzione conosca la giurisprudenza islamica, sia giusto e compassionevole, goda della stima della popolazione. Nella sua storia, la Repubblica islamica d’Iran ha avuto due Guide supreme: Ruhollah Khomeini e Sayyed Ali Khamenei.


Ayatollah (āyat Allāh, segno di Allah). È un titolo onorifico dato agli esponenti di grado elevato del clero sciita. Si tratta di esperti in giurisprudenza, scienza e filosofia islamiche. Essi insegnano in hawza, scuole o seminari islamici. Sotto gli ayatollah ci sono gli hujjat al-Islām (in persiano, hojjatol-eslam, prova o autorità dell'Islam). Khatami, Rafsanjani e l’attuale presidente Rohani, tra i più noti, sono hojjatol-eslam.


Gran ayatollah o ayatollah uzma.  È un titolo garantito a pochi ayatollah, particolarmente seguiti dai fedeli e i cui scritti sono presi come guida. Un Gran ayatollah è infatti un marja’al-taqlīd, cioè un giurista-teologo dello sciismo duodecimano che gode di grande autorevolezza nell’esegesi dei testi sacri e che i fedeli devono imitare.


Le ayatollah. L’Islam sciita contempla l’esistenza di donne ayatollah, e - anche se in numero ridotto - sono considerate al pari dei loro colleghi maschi. Sono le mujtahideh. •


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2. Iran: Sunniti  e Sciiti


IRAN Agosto-Settembre - 2013Angela Lano


Tabella sintetica di paragone tra Sunniti e Sciiti



SUNNITI


Profeta - Muhammad (nome completo: Abu- l-Qasim Muhammad ibn ʿAbd Allah ibn ʿAbd al-Muttalib al-Hashimi) nacque a Mecca intorno al 570 d.C. e morì a Medina nel 632. Era parte del clan hashimita della potente tribù araba dei Quraysh. Fu il Profeta e il fondatore della religione musulmana, secondo la tradizione islamica, incaricato da Dio (Allah), attraverso l’angelo Gabriele (Jibril), di diffondere la sua Parola (il Corano) tra gli Arabi, allora politeisti.


Nascita sunniti - È la corrente che si formò dopo la morte del profeta Muhammad tra coloro che appoggiarono la nomina a califfo (khalifa, vicario, successore) di Abu Bakr, uno dei primi compagni, convertiti all’Islam e uno dei suoceri di Muhammad (era il padre di ‘Aisha, la giovane e battagliera sposa). I sunniti sono i seguaci della sunna (pratica, tradizione) secondo quanto raccontato dai compagni del Profeta (sahaba) negli ahadith (hadith, al singolare), detti e fatti di Muhammad. Essi si considerano il ramo ortodosso dell’Islam.


Diffusione - La maggior parte dei musulmani sono sunniti. Circa l’80% del totale.


Tradizione - I sunniti, chiamati anche Ahl al-Sunna, credono che la sunna del Profeta - di cui sono parte, insieme al Corano, la collezione di ahadith - debba essere seguita come esempio da tutti i musulmani. Gli ahadith, decine di migliaia, riportati da amici e compagni della prima ora, furono scelti da ricercatori e storici dei secoli XI e XII, sulla base di criteri di affidabilità in una isnad (catena di trasmissione) che doveva arrivare, a ritroso, fino a Muhammad. I sunniti accettano solo detti riferiti esclusivamente dal Profeta e non dei suoi discendenti.


Clero - Non c’è un vero e proprio clero. Chiunque, preparato islamicamente, può essere un imam, cioè colui che guida la preghiera, il culto, o essere chiamato shaykh. Il mondo arabo sunnita brulica di shuyukh (plurale di shaykh), perché è sufficiente essere benestante, o anziano, o avere un ruolo di visibilità e responsabilità in gruppi, associazioni, comunità, o nella società, per ottenere tale titolo onorifico, in segno di rispetto o deferenza. Sono invece i saggi, gli studiosi (‘ulema’, mufti, mullah) che dominano il discorso religioso con le loro prediche, in particolare su internet o in televisione.


Imam - È colui che guida la preghiera, cioè colui che sta davanti ai fedeli e conduce il culto; e i quattro fondatori delle scuole giuridiche. Il titolo imam era usato parallelamente a quello di Khalifa.


Testi sacri - Sono il Corano e gli ahadith.


Religione e politica - Secondo i sunniti stato e religione non sono separabili.


Scuole di giurisprudenza - I sunniti prevedono scuole (madhhab, strada, cammino) di giurisprudenza (fiqh), che seguono le linee di quattro grandi pensatori: malikita, shafi’ita, hanbalita e hanafita. Tali scuole giuridiche si formarono entro il XII secolo: il sunnismo segue un pensiero fermo a quella epoca, con alcune riforme apportate nei secoli successivi, fino al riformismo islamico dell’Ottocento-Novecento, quello che portò poi alla formazione del neosalafismo e del fondamentalismo in generale. Nell’elaborazione delle leggi del diritto islamico i sunniti praticano il taqlid, inteso come accettazione, imitazione, emulazione.


Celebrante - Il predicatore, khatib, sta in piedi su un pulpito, minbar.


Moschee  - Sono costruzioni semplici e austere. A parte quelle del passato di architettura arabo-islamica o ottomana.


Pilastri del culto - Per i sunniti sono 5: 1) la testimonianza di fede, al-shahada; 2) la preghiera rituale, al-salah; 3) l'elemosina canonica, al-zakah; 4) il digiuno durante il mese di Ramadan, sawm o siyam; 5) il pellegrinaggio a Mecca almeno una volta nella vita, hajj.


Professione di fede (shahada) - Si ripete la formula: «Testimonio che non c’è divinità se non Iddio, e Muhammad è il suo Profeta». Questa frase è ripetuta anche durante il richiamo alla preghiera, l’adhan.


Atteggiamento nella preghiera - I credenti eseguono le preghiere con le mani congiunte all’altezza del diaframma, e su un tappeto. Stanno l’uno vicino all’altro, e alla fine del ciclo di orazioni, girano il capo a destra e poi a sinistra.


Donne -  Il ruolo delle donne e quello degli uomini, sia nelle società sciite sia in quelle sunnite, differisce in molti aspetti, e dipende da stato a stato. Alcuni studiosi prevedono lo jihad al-Nikah (un «matrimonio temporaneo per il jihad»): tale pratica legittima la partecipazione femminile al jihad attraverso il proprio corpo offerto ai jihadisti impegnati nelle guerre contro i nemici. (In realtà, a fronte di qualche decina di ragazze che si offrono volontarie, sperando nella ricompensa del paradiso, tale pratica è usata per legittimare decine di migliaia di stupri commessi - ad esempio - ai danni di bambine e ragazzine siriane sia in Siria che nei vari campi profughi).


Velo islamico -  L’uso del velo per le donne musulmane è obbligatorio sia nel mondo sunnita sia nel mondo sciita, in base ai versetti di due sure del Corano (XXXIII, 59 e XXIV, 31).


Feste - I sunniti celebrano solo due feste: Eid al-Fitr, che segna la fine del mese di digiuno, Ramadan, e la Eid al-Adha, festa del sacrificio, alla fine del pellegrinaggio (hajj) a Mecca.


Cibi e bevande - È vietata la carne di maiale, così come il consumo di alcolici. •




SCIITI


Profeta - Nessuna differenza con i sunniti sulla figura di Muhammad.


Nascita sciiti - Da shiʿa, shi‘at ‘Ali, «partito di ‘Ali», cugino e genero di Muhammad. Si costituì, secondo la tradizione sciita, nel giorno di Ghadir Khum, quando Muhammad alzò la mano di ‘Ali mostrando che lui sarebbe stato il suo successore (khalifa) nella direzione della comunità islamica, umma. Gli sciiti credono che il califfato spettasse a ‘Ali e che gli fu ingiustamente sottratto con la nomina di altri tre successori, prima di lui - Abu Bakr, ‘Omar e ‘Uthman - che loro non riconoscono. Costituiscono il secondo gruppo dell’Islam.


Diffusione - Il 10-15% dei musulmani è costituito da sciiti delle diverse correnti (duodecimana, la principale, e poi ismaelita, zaidita). Lo sciismo (si veda la cartina) è diffuso in Iran (la maggioranza della popolazione), Iraq (un terzo della popolazione musulmana), Pakistan (20%), Arabia Saudita (15%), Bahrein (70%), Libano (27%), Azerbaigian (85%), Yemen (50%), Siria, Turchia, e in altre parti del mondo, compreso l’Occidente.


Tradizione - Sono chiamati Ahl al-Bayt, la gente della Casa. Anche loro seguono gli ahadith, ma accettano anche detti di discendenti del Profeta.


Clero - Ha un clero organizzato, preparato in università specifiche di scienze islamiche o nelle hawza (scuole teologiche). Per diventare shaykh c’è bisogno di una cerimonia, mentre, per salire nella gerarchia, il credente deve continuare a studiare, fino a diventare mullah e poi ayatollah. Nello sciismo l’ayatollah (ayatu-l-Lah, segno di Dio) è considerato il più alto dignitario del clero. È un titolo conferito a coloro che hanno ottenuto meriti, sia per proclamazione che per nomina da parte di un altro ayatollah. Per diventare ayatollah, oltre agli studi specifici e una grande conoscenza della religione, il fedele deve essere un discendente diretto di Muhammad.


Imam - L’imam è colui che deve guidare la religione in assenza del Profeta. Per i Duodecimani sono 12 gli imam, tutti discendenti di Muhammad, e dotati di infallibilità. Il 12° imam è l’imam occulto, il Mahdi. Quello dell'imamato è un concetto-chiave che distingue sciiti da sunniti.


Testi sacri - Come i sunniti, con un’estensione per gli ahadith.


Religione e politica - Gli sciiti hanno una tradizione di indipendenza dei leader religiosi rispetto a quelli politici. Tuttavia, lo stato è soggetto al clero, il quale monitora e decide se un governante è degno di governare e se rispetta le linee guida islamiche.


Scuole di giurisprudenza -  La maddhab sciita è la jafarita, ma ce ne sono molte altre, e ogni credente segue le scuole che ritiene meglio, senza imposizioni preordinate. Lo sciismo non accetta l’imitazione di giuristi morti, ma segue quelli in vita. Inoltre, i saggi/studiosi sciiti di scienze religiose divergono dai loro colleghi sunniti perché danno molto più peso all’esercizio della ragione e dell’intelletto. Per esempio, al posto del qiyas (una delle fonti del diritto musulmano, usul al-fiqh, che si basa sul principio di analogia per induzione, analizzando casi simili), gli sciiti usano lo ‘aql o ijtihad, «raziocinio individuale». Rappresenta lo sforzo di riflessione che gli ‘ulema’ (scienziati, studiosi di scienze islamiche) o i mufti (accademici islamici cui è riconosciuta la capacità di interpretare la legge, la shari‘a) intraprendono per interpretare le fonti della legge (usul al-fiqh) e formare opinioni legali qualificate, dando regole al fedele e informandolo sulla liceità o meno di un’azione.


Celebrante - Il predicatore sta in piedi di fronte alla comunità.


Moschee - Le moschee sciite sono decorate finemente, esteticamente accoglienti e attraenti. Si confronti una qualsiasi moschea dell’Arabia Saudita con quelle di Teheran o Isfahan, capolavori di bellezza e arte.


Pilastri del culto - Nello sciismo duodecimano ci sono 10 pilastri, chiamati «ausiliari della fede» (furuʿ al-din): 1) al-salah (in persiano, namaz); 2) sawm; 3) al-zakah (2,5% della ricchezza; non prevede donazioni in denaro, ma in oro, grano, animali, prodotti); 4) khums, una tassa annuale del 20% circa del reddito da donare agli imam e ai bisognosi; 5) hajj; 6) jihad, la lotta sulla via di Dio (ce ne sono di molte tipologie); 7) amr-bil-Marouf, incoraggiare, prendere parte a ciò che è buono; 8) nahi anil munkar, rigettare, proibire ciò che è male; 9) tawalla, esprimere l’amore per il bene (per gli amici di Dio, i suoi Profeti, coloro che desiderano e sostengono la giustizia, la verità); 10) tabarra, esprimere odio e rifiuto per il male (verso i nemici di Dio, dei Profeti e dell’Umanità, e verso gli oppressori).


Professione di fede (shahada) - Gli sciiti aggiungono «e ‘Ali ibn Abi Talib è amico di Dio».


Atteggiamento nella preghiera - Gli sciiti pregano con le mani in parallelo rispetto al corpo, davanti alle cosce. La preghiera è realizzata con l’ausilio di una pietra (turbah) su cui va a posarsi la fronte, nella genuflessione sopra il tappeto. Essa termina pronunciando tre volte il takbir («Allahu akbar», Dio è il più grande).


Donne - Per gli sciiti, due donne sono considerate come modello per tutte, e hanno un ruolo particolarmente importante: Fatima Zahra (figlia del profeta Muhammad, moglie di ‘Ali e madre di Hasan e Hussayn) e Zaynab, la figlia di ‘Ali e Fatima. Nel mondo sciita è permesso il mut‘a: matrimonio a tempo tra un uomo e una donna non sposata. Il matrimonio, siglato attraverso un contratto e il pagamento di una somma di denaro a compensazione, può durare da qualche ora a anni. In realtà si tratta di un’istituzione pre-islamica, condannata dagli ayatollah iraniani e avversata dal sunnismo che la considera al pari della prostituzione. Il mut‘a viene riconosciuto come una sorta di salvacondotto legale per i rapporti sessuali non finalizzati alla procreazione (prevista all’interno del matrimonio permanente).


Velo islamico -  Cambia soltanto il nome e la tipologia. Ad esempio, in Iran è diffuso lo chador, un manto che copre tutto il corpo.


Feste -  Gli sciiti festeggiano anche: Mawild, l’anniversario della nascita del Profeta, della figlia Fatima e di tutti e 12 gli imam; l’Eid al-Ghadir, per ricordare la nomina di ‘Ali come successore di Muhammad; la morte di tutti gli imam, e in particolare Ashura, in cui viene ricordato il martirio di Hussayn a Karbala. Quaranta giorni dopo Ashura c’è la festa di ‘Arba‘iyn, a ricordo della visita dei suoi familiari al sepolcro.


Cibi e bevande - Non ci sono differenze con il sunnismo. •


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3. Iran: La forza di un popolo giovane e colto


IRAN Agosto-Settembre - 2013Angela Lano


Intervista con Davood Abbasi 

A Teheran abbiamo incontrato il direttore dell’edizione italiana di Radio Irib, l’emittente dello stato iraniano ascoltabile anche in Italia. L’embargo (occidentale), la guerra in Siria, le relazioni internazionali, l’Islam, l’origine e il ruolo dei gruppi salafiti, i rapporti con il mondo cristiano, ma anche i progressi scientifici e il nucleare. Ecco i punti salienti di una conversazione a 360 gradi.


Teheran. Il compound della Radio e Tv di stato iraniana occupa una vasta area della collina a nord della città. I controlli all’entrata sono severi e anche l’abbigliamento deve essere adeguato. Qui non si ammettono licenze in fatto di capigliatura, tollerate fuori, e i capelli devono essere ben nascosti sotto un foulard o un chador. Gentili e accoglienti, le addette alla sicurezza ci accolgono, ci perquisiscono e ci indirizzano verso la redazione di «Radio Irib» (http://italian.irib.ir), in un dedalo di stanze e sale di trasmissione, dove ci aspetta il giovane direttore dell’edizione italiana, Davood Abbasi, giornalista ma anche ingegnere aerospaziale.


Direttore Abbasi, l’Iran è sotto embargo da molto tempo, ma negli ultimi anni le sanzioni si sono fatte più pesanti. I cittadini come affrontano la situazione?


«La situazione dell’Iran sotto embargo è ormai consolidata. Nel senso che quando contro un paese sono in vigore sanzioni da oltre 30 anni, la questione non è certo una novità. Nel corso degli anni l’embargo è stato però graduale e ciò ha dato al popolo iraniano e naturalmente alle autorità la possibilità di sviluppare le proprie difese e di mettere a punto le dovute contromisure. L’Iran sopravvive, ma soprattutto progredisce perché l’embargo (box di pagina 37) non è “internazionale” quanto piuttosto “occidentale”. Inoltre, molti paesi del fronte “occidentale”, alla fine, non riescono ad attenervisi e continuano a fare affari con noi».


L’embargo colpisce però la vera ricchezza dell’Iran: il petrolio.


«Prima dell’inizio del contenzioso sul nucleare, gli Stati Uniti hanno cercato di penalizzare l’Iran a più riprese. Nel 1996 approvarono la legge Ilsa (Iran and Libya Sanctions Act). Ancora prima cercarono di interrompere le relazioni Iran/Europa con la farsa del caso tedesco Mykonos, un attentato di cui vennero incolpate le autorità iraniane senza uno straccio di prova. Accuse, sanzioni, misure hanno indotto diverse volte le compagnie energetiche e petrolifere occidentali come la Siemens, l’Eni, la Total, l’Ansaldo a lasciare l’Iran per poi ritornarvi. In questi continui tira e molla l’Iran ha imparato a fidarsi sempre di più di partner di altre parti del mondo, come delle compagnie provenienti da Malesia, Indonesia, Cina, India, e delle proprie compagnie private.


Gli Usa da anni vietano la vendita all’Iran di pezzi di ricambio di aerei e l’Iran ha imparato a procurarseli dal mercato nero pagando qualcosa in più, o utilizzando compagnie estere come prestanome.


L’ultima fase riguarda gli otto anni di governo dell’ (ex) presidente Ahmadinejad, che, mossa dopo mossa, è riuscito a prevedere i passi dell’Occidente impedendo il collasso della nazione.


Quando i paesi occidentali sventolarono la probabilità di interrompere la vendita di benzina all’Iran, lui cambiò velocemente i sistemi di diverse raffinerie che invece di altri prodotti iniziarono a produrre il combustibile. Egli applicò, inoltre, il razionamento della benzina e così non solo rese l’Iran autosufficiente nella produzione, ma lo trasformò in un esportatore».


Il petrolio iraniano continua ad essere una carta pesantissima nei rapporti internazionali del suo paese...


«Certamente. Prendiamo la Turchia. Ankara può anche pensarla diversamente rispetto all’Iran in questioni come la Siria, ma sia l’Iran che la Turchia sanno benissimo di essere legati a doppio filo per via dell’esportazione del gas iraniano, una vera e propria linfa vitale per l’economia turca senza la quale Erdogan non può nemmeno immaginare di sopravvivere. Lo stesso vale per Iraq, Repubbliche Centro-asiatiche e Afghanistan. Con questi paesi ci sono scambi di energia elettrica, con alcuni stati della regione, come il Kuwait, persino quelli di acqua potabile. Il Pakistan, entro un anno, con il completamento del “gasdotto della pace”, sarà collegato a Teheran ed è in fase di studio anche la costruzione di un oleodotto che colleghi le due capitali. La Cina ha già annunciato il proprio per l’ampliamento di entrambi i progetti verso il suo suolo, concedendo persino una linea di credito al Pakistan.


Dall’altra parte c’è un’India che dipende dal petrolio iraniano in maniera considerevole e che ha più volte dichiarato di non volervi rinunciare. Nel lontanto est-asiatico ci sono la Corea del Sud e il Giappone, due alleati Usa che però sono troppo collegati al mercato iraniano. In particolare la Corea del Sud dipende dal greggio dell’Iran e rivende una quantità incredibile di automobili ed elettrodomestici nel mercato iraniano.


Sommando l’Africa, l’America Latina e alcuni paesi dell’Europa con maggiore indipendenza, l’Iran ha ancora una buona fetta di comunità internazionale con cui commerciare e trattare. È forse vero che la popolazione, in questo periodo, ha sentito l’effetto dell’embargo obamiano in maniera più consistente del passato. In effetti mai era stato proibito l’acquisto del petrolio e mai era stata boicottata la banca centrale iraniana, ma anche in questo caso la dirigenza ha trovato le soluzioni. Da Turchia e India si fa dare l’oro, dalla Cina riceve merce, con ogni nazione ha trovato la sua formula ideale. Le navi iraniane vanno a vendere il petrolio in alto mare. Insomma, l’Iran è diventato ancora più forte ed è poco obiettivo sostenere che sia stato messo in ginocchio dall’embargo. La conclusione è che oggi la nazione va avanti nonostante le sanzioni. Se qualcuno lo vuole proprio fuori dai giochi, dovrà pensare a qualcos’altro».


Come reagiscono i giovani iraniani davanti alle sanzioni che colpiscono il loro paese?


«L’Iran ha un numero elevato di laureati e specializzati, e il lavoro abbonda per questa generazione dato che c’è tanto da fare e costruire. Per questo la quasi totalità dei giovani si impegna e dà vita a quello che, senza esagerazioni, bisogna chiamare il “prodigio tecnologico e scientifico” dell’Iran.


Nel 2012 le organizzazioni internazionali hanno proclamato l’Iran la nazione al mondo con il più veloce progresso scientifico dato che il numero di pubblicazioni di studiosi iraniani, nel giro di 10 anni, era aumentato di 11 volte. Oggi, nella regione, la nazione supera pure la Turchia e ha ottenuto il primato. Nella classifica mondiale generale è al 14esimo posto secondo alcune classifiche, al 17esimo secondo altre. E questo non è l’identikit di una nazione isolata.


Una nazione che clona gli animali, che manda nello spazio i suoi satelliti autonomamente, che padroneggia la tecnologia nucleare, che vince l’Oscar con i suoi film, che eccelle pure nelle discipline sportive, o non è isolata, o come minimo ha saputo reagire bene a tutti i tentativi di isolarla».


Nel novembre 2012 Barack Obama è stato rieletto presidente degli Stati Uniti. Vede, in prospettiva, un cambiamento di linea politica nei vostri confronti?


«È inutile nascondere che Barack Obama, con tutta una serie di azioni di basso profilo, sta cercando di preparare al meglio una vera e propria guerra all’Iran. Al contrario della sua parvenza pacifica, Obama ha imposto contro il nostro paese le sanzioni più dure della storia, ossia il divieto di acquisto del petrolio, nostra principale fonte di reddito, e poi il boicottaggio della Banca centrale iraniana. Per essere chiari, sono misure che distano solo un passo dalla guerra vera e propria. Questo l’Iran lo ha capito e non a caso nei mesi scorsi autorità politiche e militari di Teheran hanno informato che sarebbero pronte a chiudere lo Stretto di Hormuz nel caso di un’aggressione militare. Attraverso questo stretto passa giornalmente qualcosa come il 40% del greggio mondiale ed è naturale che basterebbe una chiusura anche temporanea per far schizzare a cifre impensabili il suoprezzo. Naturalmente ne conseguirebbe un contraccolpo economico spaventoso che l’Occidente - già oggi alle prese con una pesantissima crisi - non sarebbe in grado di assorbire.  Obama è il paziente stratega che nel corso di anni ha preparato l’azione finale contro l’Iran1». 


Quali sono i legami tra la guerra civile in Siria e le minacce all’Iran?


«Come ho spiegato prima non credo che i venti di guerra contro l’Iran si siano placati ed anzi, in Siria, gli Usa hanno scelto probabilmente di combattere una guerra per procura anche contro l’Iran. Loro stanno agendo per conto di Israele, che in pratica considera nemica la Siria solo per il fatto che Damasco rivendica la proprietà delle alture del Golan, zone effettivamente siriane occupate da Israele con la “Guerra dei Sei giorni” (1967).


Come ha fatto notare alle Nazioni Unite il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, l’accanimento contro la Siria è dovuto all’alleanza di Damasco con l’Iran. È notorio che nei primi mesi del conflitto in Siria, ad Assad era giunta una proposta da parte dell’Occidente: l’alleanza con il suo governo in cambio dell’interruzione delle relazioni con l’Iran.


Il motivo è semplice. L’alleanza non solo politica ma anche militare dell’Iran con la Siria, l’Iraq e il Libano, rende di fatto impensabile per l’Occidente un’azione ai danni di Teheran. Perché - con la collaborazione di questi alleati - l’Iran potrebbe colpire tranquillamente e dolorosamente sia Israele che le basi Usa e Nato nel Mediterraneo e nel Golfo Persico».


Dunque, secondo lei, la guerra in Siria è soltanto un tassello di una partita contro l’Iran che vede in campo numerosi attori. È così?


«Arabia Saudita e Qatar hanno voluto creare una “primavera” fasulla in Siria per evitare che si sviluppasse la primavera autentica che si stava creando e che c’è ancora nei loro territori. L’est dell’Arabia Saudita, la regione di Qatif, ed il Bahrain sono da oltre due anni teatro di moti popolari anti-monarchici e l’Arabia Saudita ha cercato di soffocarli nel sangue. In più ha sguinzagliato estremisti religiosi, criminali comuni, e terroristi provenienti da diverse nazioni arabe in Siria, nella speranza che questa fasulla “primavera” potesse allontanare l’attenzione mondiale e le forze che contano nella regione dai suoi territori. Poi c’è la Turchia che si è lasciata ingannare dalle promesse di “potere” fattele dagli Usa. Il ministro degli Esteri turco Davutoglu è un teorico del pensiero neo-ottomano2, che crede nella possibilità di ridare vita all’Impero Ottomano di un tempo. Per questo si notano, nell’ultimo periodo, le politiche aggressive di Ankara non solo nei confronti della Siria, ma anche dell’Iraq. In più non bisogna ignorare gli sforzi della Turchia, negli ultimi anni, di proporsi come un modello per tutte le nazioni del Nordafrica e di improvvisarsi come un sostenitore sincero persino per la Palestina. In questo senso anche il Qatar ha cercato di avvicinarsi ai palestinesi.


Purtroppo Davutoglu ha letto la storia a metà e non si ricorda che uno dei motivi che portò l’Impero Ottomano alla rovina furono le sue guerre contro l’Impero Persiano. Oggi, stiamo assistendo ai famosi corsi e ricorsi storici teorizzati da Giambattista Vico. Nella regione mediorientale ci sono due potenze emergenti, Iran e Turchia, ed il bene di entrambe sarebbe cooperare. Già una volta, in passato, questi due centri di civiltà caddero in rovina, dato che attori stranieri riuscirono a creare divergenze tra di loro. L’Iran comprende benissimo questa situazione e lo ha dichiarato più volte. Ahmadinejad disse chiaramente che “certi paesi saranno importanti per l’Occidente fino a quando ci sarà un governo indipendente a Damasco. Se questo governo crollerà, altri paesi della regione non varranno più nemmeno un fazzolettino di carta e toccherà a loro essere attaccati”.


La Turchia non si accorge che dopo Siria e Iraq, ammesso che in questi due paesi crollino gli attuali governi indipendenti, l’obiettivo sarà proprio Ankara. In generale si può dire che l’azione contro la Siria è l’inizio di tutta una serie di azioni successive. Probabilmente contro l’Iraq, contro la Turchia stessa, e - perché no? - anche contro l’Arabia Saudita.


Dopo aver disegnato una nuova cartina della regione, gli americani cercheranno probabilmente di sferrare il colpo finale anche contro Teheran. Per loro l’Iran è importante per due motivi basilari. In primis, esso è il punto, probabilmente l’ultimo autentico, di forza del mondo islamico: senza l’Iran sarebbe credibile la previsione di Samuel Huntington3 che dava per condannata alla scomparsa la civiltà islamica. In secondo luogo, è l’ultima tappa che precede il grande duello, teorizzato da Huntington e altri, tra civiltà occidentale e civiltà confuciana, cioè tra Usa e Cina».


Il neo-salafismo è un fenomeno in crescita, costituendo una reale minaccia per molti Paesi.


«Credo che il neo-salafismo sia frutto del pensiero di alcuni paesi arabi, Arabia Saudita in primis, che ha cercato in qualche modo di salvarsi dalla morte. Spiego perché. Nel 1979, quando in Iran vinse la rivoluzione islamica guidata dall’Imam Khomeini, l’intero mondo islamico rimase a guardare stupito quella novità: quell’Islam che voleva riportare in vita gli insegnamenti degli albori del profeta e che non era corrotto, laico o occidentalizzato come quello di altre nazioni.


L’Islam iraniano ha veramente rivoluzionato la scena politica della regione. È inutile negare che la regione mediorientale del 1970 è molto differente rispetto a quella del 2000 e ciò soprattutto per merito dell’Iran. Una nazione che nonostante l’aggressione dell’Iraq di Saddam, nonostante le sanzioni e nonostante il “no” grande e grosso detto sempre a Usa e Israele, ha costruito la sua fortuna contando sulla forza della sua gente. Se tutte le nazioni della regione e persino in Europa comprendessero che, per essere una nazione forte e indipendente, e non c’è bisogno di essere sudditi di una qualsiasi potenza del momento, gli Usa perderebbero il dominio su tante nazioni del mondo».


Ma a chi giova la diffusione del fondamentalismo salafita?


«L’estremismo islamico è nato come pensiero alternativo e alternativa politica al pensiero sciita iraniano. Per questo gli Usa, con la cooperazione di Arabia Saudita e servizi d’intelligence di altri paesi, hanno inventato i talebani, i salafiti, i gruppi di combattenti estremisti.  Questi gruppi sostengono di essere rivoluzionari, di combattere contro l’ingiustizia, contro le dittature, certe volte anche contro gli stranieri, ma sono manovrati e gestiti proprio da loro. Essi, tra l’altro, non possono nemmeno essere definiti islamici perché  l’Islam ha una radice che significa “pace” e loro uccidendo persino musulmani di altre confessioni (sciiti, sufi, ecc.) hanno dimostrato di non essere assolutamente degni di tale appellativo.


I gruppi estremisti salafiti, impiegati in Libia, e poi esportati in Siria, e strumentalizzati pure in Mali, hanno una duplice funzione: 1) sono strutture che possono arruolare giovani ignoranti e poveri nei paesi arabi, impedendo loro di trovare vere vie di liberazione dei propri paesi. In questo modo si garantisce la forza delle monarchie filo-occidentali come quella saudita. 2) Questi gruppi hanno ai loro vertici agenti della Cia, del Mossad e dell’MI6 o sono comunque molto vicini ai servizi occidentali. Per questo possono essere usati e strumentalizzati per giustificare azioni militari.


In pratica gli Usa formano queste entità e le mantengono più o meno attive per impedire che nel mondo islamico si formino autentiche forze rivoluzionarie. In più, possono usare questi “falsi islamici” per azioni di terrorismo che poi servono per giustificare le campagne militari di conquista». 


Qual è il ruolo di Arabia Saudita e Qatar nell’attuale scenario mediorientale?


«Arabia Saudita e Qatar sono due monarchie traballanti e sanno molto bene che mantenere un simile sistema di governo nella regione del Golfo Persico tra popolazioni musulmane è tutt’altro che semplice.


È noto che dopo il crollo dell’Impero Ottomano, gli inglesi cercarono di costruire su modello della Corona inglese degli imperi nella regione ed oggi in nazioni come Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati, Oman, Giordania osserviamo più o meno la stessa cosa.


L’Arabia Saudita, storicamente, ha sempre cercato di impedire l’ingresso di onde modernizzatrici nel suo territorio e nelle nazioni circostanti. A questo ruolo dei sauditi si è unito quello svolto dal Qatar. Entrambi i paesi cercano di alimentare l’estremismo salafita per salvaguardare la propria monarchia. Infatti, in una situazione di normalità e assenza di conflitti nella regione, la situazione in Arabia Saudita sarebbe difficilmente sostenibile. Già oggi le regioni orientali sono quasi giornalmente teatro di proteste.


Le donne hanno una condizione insostenibile; nonostante i grandi introiti petroliferi la povertà in Arabia Saudita è a livelli allarmanti, molte città non hanno nemmeno la rete fognaria; a Mecca e Medina, negli ultimi 25 anni, il 90% dei luoghi sacri islamici sono stati distrutti. I prigionieri politici sono oltre 30 mila, la gente inizia ad essere insoddisfatta anche delle politiche della monarchia che risulta sempre più una pedina degli Usa nella regione.


Il salafismo è la risposta che queste monarchie oscurantiste e retrograde danno. Facciamo attenzione perché stanno tentando di diffondere in diverse regioni del mondo l’azione di questo pensiero: Turchia, Qatar e Arabia Saudita stanno cercando di impiantare reti salafite anche in Europa e in zone remote del globo, come in alcune aree della Cina.


Obiettivamente però credo che pure Arabia Saudita e Qatar avranno una loro data di scadenza e, dopo aver svolto il proprio compito, verranno riciclati dagli stessi alleati occidentali. Si veda il comportamento del Qatar: compra di quà e di là nel mondo, credendo così di ipotecare per sé una sorta di stabilità, ma si sbaglia di grosso. Come accadde a Gheddafi, quando i suoi averi all’estero faranno abbastanza gola, si troverà un bel pretesto per attaccarlo e toglierglieli. La scusa potrebbe essere quello stesso salafismo che oggi il Qatar sostiene in Siria».


L’Iran non ha la bomba nucleare, ma le attività di arricchimento dell’uranio a scopi pacifici proseguono. Possiamo definire il Paese, «potenza nucleare»?


«Nel periodo della guerra fredda, “potenza nucleare” si diceva di una nazione che possedeva la bomba.


L’Iran non possiede la bomba e sbaglierebbe di grosso a possederla. Per questo la Guida suprema della nazione, l’Ayatollah Khamenei, ha persino emesso un editto religioso, una Fatwa, che proibisce la fabbricazione di armi nucleari.L’Iran sa benissimo di potersi difendere senza bisogno di armi nucleari. Il nucleare è visto soltanto come un’opportunità per produrre energia elettrica in abbondanza e dare inizio a un grande progresso economico e industriale.


Con la sua giovane popolazione di 77 milioni di persone, il paese mira a raggiungere il benessere generalizzato nei prossimi anni. Oggi sfrutta al minimo tantissime opportunità e potenzialità economiche esistenti al suo interno. Un territorio immenso dove si continuano a costruire con un ritmo frenetico dighe, edifici, dove vengono inaugurati progetti di ampliamento, industrie, fabbriche. La vera “potenza nucleare” dell’Iran è la vitalità, il livello di cultura e la forza di un popolo che sta attraversando passo dopo passo la via del progresso. L’Iran oggi è ancora dipendente dal suo petrolio, ma anche solo usando il suo turismo - è tra i paesi dove si trovano il maggior numero di reperti storici del Patrimonio culturale mondiale -, potrebbe ottenere guadagni ingenti.


Pochi infine sanno che con l’allentamento delle sanzioni l’Iran potrebbe svolgere il ruolo di hub aereo della regione e crocevia del trasporto di passeggeri e merci. È anche il tragitto ideale per far passare gli idrocarburi del Mar Caspio e portarli fino ai mari del Golfo Persico.


A mio avviso, l’Iran diventerà uno dei paesi maggiormente industrializzati, una delle potenze della regione e probabilmente del mondo. Gli americani e gli israeliani questo lo sanno e non vogliono che accada».


I cristiani cattolici hanno un nuovo Papa, che ha scelto un nome ricco di significati positivi: Francesco. Francesco d’Assisi è amato per la sua semplicità, la vicinanza agli ultimi e l’amicizia con il Sultano musulmano. Cosa ne pensa?


«Nel Corano, nel versetto 82 della sura Al Maeda (o della Tavola Imbandita, la quinta del Corano) si legge questo consiglio rivolto da Dio ai musulmani: “... e troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono: “In verità siamo nazareni”, perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia”.


Il fatto che i cristiani siano potenziali amici e alleati dei musulmani, è una verità risaputa. Quando Mohammad, il profeta dell’Islam, era un bambino e accompagnava lo zio in un viaggio, venne riconosciuto dal monaco cristiano Bahìra a Basra4 che vide in lui i segni citati da Gesù per il profeta che sarebbe venuto in futuro. Ci sono tanti altri tratti della storia che potrebbero testimoniare la vicinanza tra Islam e Cristianesimo. Secondo l’Islam, almeno, tutti i profeti della tradizione ebraica e cristiana, più altri presentati dal Corano, sono messaggeri di un unico Dio e hanno invitato tutti a un’unica religione.


Nel mondo di oggi, Papa Francesco (o qualsiasi altro uomo di religione, veramente amante della pace) può fare molto per la nostra Terra. Il mondo è così pieno di ingiustizia, corruzione e male che basta solo fare qualche passo in avanti per poter dare vita a grandi cambiamenti. Io posso solo sperare che il nuovo Papa si adoperi per la pace e prego Dio affinché possa guidare al meglio i fedeli cattolici in un mondo che pare ancora riservarci troppe guerre e ingiustizie». •


Note:

(1)  Davood Abbasi, Usa/Iran: ecco la guerra che Obama ha scatenato (italian.irib.ir/analisi/commenti/item/122913).

(2)  Si veda: Angela Lano, Dossier primavere arabe, Missioni Consolata, gennaio 2013, reperibile sul nuovo sito web della rivista.

(3)  Samuel Huntington (1927-2008), politologo statunitense, famoso soprattutto per la sua tesi sullo «scontro di civiltà».

(4) Gabriel Mandel Khan, Dizionari delle Religioni, Islam, Electa, p.26.


 

       1979-2013 - Un  embargo lungo 34 anni                                                        


Contro l’Iran sono in vigore sanzioni economiche, commerciali, scientifiche e militari. Sono state imposte dal governo degli Stati Uniti o, sotto la sua pressione, dalla comunità internazionale attraverso il Consiglio di sicurezza dell’Onu.  Comprendono, tra le altre cose, un embargo nei rapporti commerciali con gli Usa e un divieto di vendere aerei o pezzi di ricambio all’aviazione iraniana. Nel 1979, dopo un tentativo di golpe statunitense per rimettere al potere lo shah Reza Pahlavi, un gruppo di studenti islamici occupò l’ambasciata Usa a Teheran, tenendo sotto sequestro lo staff diplomatico. L’allora presidente Jimmy Carter emise un ordine che prevedeva il congelamento di circa 12 miliardi di dollari di beni iraniani (depositi bancari, oro e altro), 10 dei quali sono ancora in mano agli Usa.

Nel 1984 le sanzioni aumentarono dopo l’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq (settembre 1980 - agosto 1988), prevedendo il divieto di vendita di armi, e dei prestiti bancari da parte delle istituzioni finanziarie internazionali. Nel 1987, il presidente Usa Ronald Reagan emise un decreto che proibiva attività di import-export con l’Iran per qualsiasi tipo di prodotto o servizio .


Durante il governo del presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani (un conservatore centrista aperto al libero mercato interno e un moderato a livello di relazioni internazionali, favorevole alla distensione dei rapporti con gli Usa e l’Occidente) le sanzioni furono durissime: nel 1995, il presidente Bill Clinton emise un ordine che proibiva, prima, le transazioni con le industrie petrolifere iraniane, poi ogni tipo di scambio commerciale. In quell’anno ebbero dunque termine le relazioni di affari tra Usa e Iran. Nel 1996, il Congresso Usa approvò l’Atto delle sanzioni contro Iran e Libia (Ilsa) in base al quale le compagnie petrolifere straniere che investissero in Iran oltre i 20 milioni di dollari sarebbero state soggette a penalità, tra le quali il rifiuto del credito da parte di istituzioni finanziare statunitensi e dell’assistenza bancaria per l’import-export.


Quando fu eletto il presidente riformista Mohammad Khatami, Clinton alleggerì le sanzioni, ma nel 2001 l’Ilsa fu rinnovato e ratificato dal presidente George Bush.


Il presidente Mahmoud Ahmadinejad, eletto nel 2005, riprese l’arricchimento dell’uranio, sospeso in base a un accordo con Francia, Germania e Gran Bretagna. Da allora gli Usa spingono perché le Nazioni Unite sanzionino l’Iran sul suo programma nucleare.


Tra il 2006 e il 2010, il Consiglio di sicurezza dell’Onu adottò le risoluzioni 1737, 1747, 1893, 1929 che impongono nuove sanzioni o l’inasprimento di quelle già in atto, per punire il programma nucleare iraniano.


Nel luglio del 2010, il presidente Barack Obama ratificò il «Comprehensive Iran Sanctions, Accountability and Divestment Act»: tali restrizioni comprendono la cancellazione dell’autorizzazione per l’importazione di articoli di origine iraniana (tappeti, pistacchi, caviale, eccetera).


Un discorso a parte meritano le sanzioni in campo bancario. Le istituzioni finanziarie iraniane hanno il divieto di accedere direttamente al sistema finanziario statunitense. Sanzioni vennero imposte nel 2006 alla Bank Saderat Iran in quanto accusata di aver trasferito fondi al movimento di resistenza libanese Hezbollah. Nel novembre del 2007, altre banche iraniane entrarono nel mirino dell’embargo Usa. Vennero inserite nella lista speciale dell’Ofac (Office of Foreign Assets Control), che riguarda nazioni o entità a cui è negato l’accesso al sistema finanziario statunitense.


Le restrizioni bancarie hanno costretto cittadini e piccoli imprenditori iraniani a rivolgersi al mercato hawala*, per bypassare l’embargo e portare avanti le proprie transazioni economiche e finanziare. •


(*) Si tratta di un sistema alternativo e informale di trasferimento della valuta basato su un network di brokers. È diffuso in Africa, India e Medio Oriente.

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4. Iran: Sulla pelle della gente


IRAN Agosto-Settembre - 2013Angela Lano


Prof.ssa Razie Amani

L’Italia era il primo partner europeo dell’Iran. Per obbedire all’embargo, ha ridotto progressivamente un legame commerciale molto importante. Divenendo complice di un’enorme ingiustizia.

Razie Amani è una giornalista e docente universitaria iraniana. Ha studiato in Italia e insegna la lingua italiana in un ateneo di Teheran. 


Professoressa Amani, qual è l’attuale situazione economica dell’Iran dopo le sanzioni internazionali?

«A causa delle sanzioni l’economia dell’Iran ha subito forti e innegabili conseguenze negative. Un aumento drastico dei prezzi e di conseguenza il calo notevole di potere di acquisto della moneta. I settori economici più toccati sono quello petrolifero e bancario, ma in generale un po’ tutti. La mancanza di alcuni prodotti pesa maggiormente. È il caso dei medicinali e dei farmaci indispensabili (soprattutto per malattie considerate gravi o croniche) e dei pezzi di ricambio (per le attrezzature ospedaliere, per le auto eccetera), perché la mancanza incide direttamente sulla produzione e sui costi. In generale, l’embargo va a colpire soprattutto i più deboli, la fascia medio-bassa della popolazione che ora si vede costretta al “minimo indispensabile”. Questa è la ragione principale per la quale la gente non accetta le accuse delle potenze straniere e i loro ragionamenti; essa si sente vittima diretta e innocente di una punizione e una pressione economica ingiuste che vorrebbero costringere l’Iran a cambiare la sua politica estera e interna. Nulla di quello che viene detto contro l’Iran risulta credibile agli occhi del più semplice cittadino iraniano, anche quello meno allineato con le politiche dei suoi governanti. In sintesi, le sanzioni stanno pesando molto sulle spalle della gente, danneggiano l’economica e le imprese, mettono in seria difficoltà la vita di tutti, ma non piegano gli Iraniani, anzi li rafforzano».


Come reagisce la popolazione?


«La popolazione reagisce con attenzione e intelligenza. Ha una capacità straordinaria di valutare la situazione politica dell’Iran e del mondo; ha anche la capacità critica di giudicare la condotta del governo e dello stesso presidente ma non si lascia ingannare facilmente dalla macchina propagandistica delle potenze occidentali obbedienti agli Stati Uniti. Sente sulla propria pelle l’arroganza e l’ingiustizia dei paesi ostili all’Iran e delle ragioni vere di questa ostilità costruita artificiosamente».


La rielezione di Obama a presidente degli Stati Uniti ha aperto nuove prospettive per l’Iran?


«Nessun cambiamento serio. Forse un tono meno aggressivo ma sicuramente un paese come l’Iran, preso di mira, è difficilmente ingannabile dalle parole e dai media, siano nazionali che internazionali. Gli Iraniani sono cittadini di un Paese culturalmente molto elevato e colto: essi subiscono anche l’ingiustizia dell’Occidente e ne sono consapevoli; con questo non voglio dire che in Iran non ci sono opposizioni, dissidenze o persone che vorrebbero un approccio più morbido del governo con gli Usa e con l’Occidente in generale, ma la maggioranza ha compreso gli inganni dialettici e gli scopi reali della propaganda occidentale e si fa poche illusioni. Tuttavia nessuno rinuncia a sperare in una chiarificazione internazionale e in una pacificazione. Questo è sicuro...»


Lei è vissuta in Italia e ne conosce bene la cultura e la lingua. Quali sono le relazioni con il suo paese, dopo le sanzioni?


«Le relazioni economiche Iran-Italia hanno subito anch’esse conseguenze molto negative. E pensare che l’Italia rappresentava il primo partner economico europeo dell’Iran! Non so se tale situazione è rimasta immune dalle sanzioni occidentali. Esse, certo, danneggiano l’Iran, ma anche l’Italia che, purtroppo, deve obbedire. Anche a costo della bancarotta».


Secondo lei, quali percezioni hanno gli italiani dell’Iran?

«Gli italiani, in generale, bombardati anche loro dai mass-media non hanno una giusta visione dell’Iran e degli iraniani, ma questo non rappresenta solo una realtà italiana: riguarda tutto l’Occidente. Vi sono, tuttavia, italiani informatissimi con i quali ho avuto la fortuna e il piacere di parlare e scambiare le idee, che conoscono il mio paese per quello che realmente è. Per la sua incomparabile civiltà e storia, per la sua gente, rivoluzionaria nel cuore e nella mente, e per le sue caratteristiche religiose e culturali».


Qual è il ruolo dei media in relazione all’embargo e all’informazione sull’Iran?


«È stato un ruolo fondamentalmente distruttivo, se intende quello dei media occidentali mainstream. Si sa che sono loro che formano la cosiddetta “opinione pubblica” che, in sé, non esiste autonomamente. È stato fondamentale per rendere passiva, anzi accondiscendente alle sanzioni, l’opinione pubblica occidentale, senza che ne capisse neppure le raioni al di là del solito spauracchio delle “armi chimiche” e della “bomba nucleare”».


L’attuale guerra in Siria che scenario disegna nei confronti dell’Iran?


«L’Iran è al centro di questa guerra proprio perché ne è l’obiettivo direi esclusivo. Tuttavia è considerato anche l’avversario principale e più forte capace di frenare quest’aggressione internazionale contro la Siria. Di difendere il governo siriano in se stesso all’Iran può interessare poco; ma vedersi arrivare fuori della porta di casa quelli che già si sentono “padroni” dell’intera area... renderebbe preoccupato chiunque. E del resto anche la Russia e la Cina avvertono questo pericolo e sentono che questa è la vera intenzione degli americani e dei loro alleati. L’aggressione alla Siria è solo l’inizio perché è vista come una dei componenti del “Fronte trilaterale della resistenza islamica” composta da Hezbollah, dalla Repubblica Islamica dell’Iran e, appunto, dalla Siria, contro Israele e l’imperialismo in generale. Questo dovrebbe apparire chiaro anche a una certa fascia della popolazione dei paesi arabi, ma i suoi governanti non le danno spazio per capire a che gioco si sta giocando ai danni dell’intero Islam, e non solo di quello sciita».


Rimaniamo in tema di fede religiosa. Come vede l’elezione del nuovo Papa, Francesco?


«È sicuramente un evento molto importante nella storia della Chiesa cattolica e forse incisivo anche per l’intero mondo cristiano; ovviamente quello autentico e sincero; e questo, sia per le dimissioni storiche e senza precedenti del precedente Papa sia per ciò che dice e promette il nuovo Papa Francesco. Un nome molto amato da tutti cristiani, al di là delle appartenenze nazionali o di altra natura, ma che rende più difficile il compito di colui che sembra voler essere vicino a una certa visione spirituale e a una condotta coerente. Sembra una bella figura che ispira sincerità». •


 

Per Approfondire

•  Angela Lano, E dopo la primavera, arrivò l’inverno, Dossier Missioni Consolata, gennaio 2013.

•  Marco Perissinotto - Hamid Masoumi Nejad, Iran, un viaggio in Persia tra Oriente e Occidente, Edizioni Polaris, Firenze 2013.

•  Alì Reza Jalali, La Repubblica Islamica dell’Iran tra ordinamento interno e politica internazionale, Irfan Edizioni, Roma 2013.

•  Matteo Bressan, Hezbollah, Datanews,  Roma 2012.

•  Giorgio Frankel, L’Iran e la bomba, Edizioni Derive e Approdi, Roma 2010.

•  Wael Hallaq, The Origins and Evolution of Islamic Law,  Cambridge University Press, 2005.

•  Gilles Kepel, Jihad, ascesa e declino, Carocci editore, Roma 2001.

•  Henri Laoust, Gli scismi nell’Islam, Ecig, Genova 1990.

•  Joseph Schacht, An Introduction to Islamic Law, Oxford University Press, 1964.

•  Fulvio Grimaldi, Target Iran, documentario (in Dvd).


 Termini arabi e farsi

Abbiamo scelto una traslitterazione scientifica parziale per non appesantire con inserzioni grafiche la lettura.


L’autrice

Angela Lano, giornalista e scrittrice, orientalista per studi e passione, da molti anni viaggia in Medio Oriente. Collaboratrice di MC, vive a Salvador Bahia, Brasile.


Coordinamento editoriale:

Paolo Moiola, redattore MC.

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