mercoledì 10 luglio 2013

Israele alle prese col caos in Siria, Libano ed Egitto


Ali Reza Jalali
26cnd-hamas.600Mentre il mondo si sta concentrando sulla crisi in Egitto, l’offensiva contro la Siria di Bashar Assad e i suoi sostenitori in Libano continua. Mentre l’esercito egiziano e i Fratelli Musulmani sono stati coinvolti in un duro scontro, le esplosioni hanno scosso il centro di Damasco e un autobomba è esplosa nel quartiere sciita di Beirut. Questi eventi ci hanno fatto ricordare che la Siria continua a sanguinare e le ripercussioni della guerra tra le forze regolari damascene e i ribelli, si fanno ancora sentire, anche quando i media internazionali parlano dell’Egitto. Sembra che Israele non sia direttamente collegato a questi eventi. Al-Arabiya ha riportato una serie di esplosioni a Damasco durante la notte tra lunedì e martedì. Al mattino, decine di libanesi sono stati feriti dalla bomba nel quartiere Dahiya vicino a un centro civile associato con Hezbollah – il cuore della roccaforte sciita nel sud di Beirut. Il movente per gli attentati di Damasco è chiaro e riconducibile alla terrificante guerra che da più di due anni insanguina il paese arabo. Quanto a Beirut, Israele anche in passato ha usato metodi di questo tipo, magari non direttamente, ma per interposta persona, finanziando e armando alcuni gruppi terroristici del Medio Oriente. Ma a prescindere da ciò, l’esplosione nel centro di Dahiya è una sfida diretta a Hezbollah, a seguito del lancio di razzi nel quartiere più di un mese fa, e diversi episodi di lanci di razzi contro i villaggi sciiti nella valle della Bekaa. Si può supporre che le organizzazioni estremiste salafite siano dietro gli attacchi contro Hezbollah; tali gruppi eventualmente potrebbero essere stati assistiti dai gruppi dell’opposizione in Siria.
Il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Benny Gantz aveva probabilmente ragione la settimana scorsa, quando ha detto che a causa della guerra civile siriana, le frange del mantello del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah erano in fiamme. Più Hezbollah viene immerso nel conflitto siriano, più è esposto ad attacchi dai suoi avversari in Libano. Nel frattempo, il sito arabo Al Hakika ha riferito i dettagli di un altro evento significativo – l’attacco di qualche girono fa presso Latakia, porto siriano sul Mar Mediterraneo. Il sito aveva attribuito l’attacco a Israele, dicendo che nell’attentato si erano distrutti i missili russi Yakhont. Al Hakika ha aggiunto che i missili sono stati colpiti dal mare, da un sottomarino israeliano. Questa era la prima volta che un organo di stampa araba ha puntato direttamente il dito contro Israele. “Ci sono molte tensioni nella regione“, ha affermato il ministro della Difesa Moshe Ya’alon, martedì durante una visita a una base di addestramento. “I nostri confini sono tranquilli, ma non dobbiamo dare nulla per scontato. Stiamo seguendo quello che sta accadendo a Beirut. Si tratta di una battaglia tra sciiti e sunniti. Non stiamo intervenendo.” Alla domanda circa l’attacco di Latakia, ha detto che “non siamo stati coinvolti nella sanguinosa guerra in Siria. Abbiamo presentato le nostre linee rosse in Siria. Un’esplosione o un attacco aereo in Medio Oriente? Noi non siamo responsabili.” Yaron ha ribadito le linee rosse che indurrebbero un intervento israeliano in Siria: i tentativi di trasferire armi chimiche del regime di Assad, i tentativi di trasferire altre armi sofisticate a Hezbollah come missili anti-aerei, missili Yakhont o missili terra-terra. Interessante notare in ogni caso come i dirigenti dell’esercito israeliano nel loro comunicato per augurare ai musulmani un “buon mese di Ramadan”, abbiano attaccato verbalmente in modo pesante Hezbollah, come se si volesse dire ai musulmani “attenzione; il vostro nemico è il movimento libanese che combatte al fianco del tiranno Assad, reo di massacrare i musulmani nel mese sacro”. Nel comunicato si legge anche: “Ormai è chiaro a tutti che Hezbollah non è impegnato a difendere il Libano, ma a distruggerlo”.
I recenti avvenimenti in Siria e Libano, insieme con la tensione in Egitto, riflettono però le difficoltà che affrontano i leader israeliani. Non solo gli eventi che si svolgono rapidamente e inaspettatamente, ma anche la possibile risposta israeliana è al centro del dibattito. Israele, come ha detto Yaron, sta cercando di essere un attore marginale nel dramma arabo. Il dilemma è tra un intervento limitato nel tentativo di sventare una minaccia specifica, e la paura di essere trascinati al centro di eventi pericolosi. Al confine con l’Egitto, il principale sforzo di Israele è quello di prevenire attacchi da parte di organizzazioni islamiche nella penisola del Sinai, un fronte secondario nella loro battaglia con le forze di sicurezza egiziane. Israele può applicare una pressione diplomatica sull’Egitto, direttamente o attraverso gli Stati Uniti, nel suo desiderio di ristabilire l’ordine nel Sinai. Eppure, Israele è consapevole che la penisola non è in cima alla lista delle priorità del governo ad interim, in quanto cerca di assorbire la rabbia dei Fratelli Musulmani dopo la sua rimozione dal potere. Le Forze di Difesa israeliane possono affrontare le minacce terroristiche del Sinai solo quando i gruppi armati si avvicinano alla recinzione di confine. Sembra che senza ammetterlo, Israele sarebbe disposto a rischiare dei pericoli per salvaguardare il più prezioso accordo degli ultimi decenni – il trattato di pace con l’Egitto. Per queste ragioni, si lascia che l’Egitto violi l’allegato militare del trattato, che vieta le implementazioni dell’esercito egiziano nel Sinai. Sembra che ci sia un divario tra l’eccezionale tranquillità – per quanto riguarda l’approccio degli israeliani all’interno del paese – e il crescente rischio di problemi alle frontiere – in Sinai, nelle alture del Golan e in una certa misura al confine libanese. I confini sono tranquilli perché la maggior parte delle forze armate in Siria e in Egitto si stanno concentrando sulle loro lotte interne. Eppure, c’è una buona probabilità che con il tempo la violenza interna si rifletterà in tensioni con Israele.
La raccolta di sempre più militanti che si identificano con l’ideologia riconducibile all’estremismo religioso sembra rischiare di portare a tentativi di lotta contro Israele. Questo processo è già in corso, in un ambito limitato, al confine con l’Egitto. Questo dovrebbe accadere anche sul confine siriano. E’ uno scenario meno preoccupante di un confronto militare convenzionale con la Siria – di cui le probabilità sono più basse che mai a causa della guerra interna al paese arabo. Nel sud delle alture del Golan, vicino a dove Israele, Giordania e Siria si incontrano, si siede un avamposto Onu disertato dagli osservatori internazionali mesi fa, quando i combattimenti tra l’esercito siriano e i sunniti estremisti si sono induriti. Gli osservatori sono fuggiti, e l’avamposto ora è tenuto a bada da un piccolo gruppo di estremisti sunniti. Dal lato israeliano del confine si può facilmente individuarli. Quando non stanno combattendo le forze di Assad, spendono il loro tempo nella piccola piscina abbandonata dai soldati delle Nazioni Unite. Prima o poi si potrebbe cercare qualche altro passatempo sul lato occidentale del recinto. Israele cerca in tutti i modi di mantenere un profilo basso, senza coinvolgersi troppo in quello che assume sempre di più le sembianze di una completa deflagrazione del mondo arabo ai confini dello Stato ebraico. A Tel Aviv sono proprio sicuri di poter rimanere fuori dalle diatribe per sempre?

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