martedì 4 giugno 2013

Le sanzioni economiche e l'origine del cambiamento sociale nei paesi di destinazione: il caso iraniano




In primo luogo bisogna dire che essendoci le elezioni presidenziali alle porte in Iran, la vittoria di un candidato come Jalili potrebbe significare un duro monito del popolo iraniano contro l'Occidente e i fautori delle sanzioni economiche unilaterali. Infatti Jalili è l'attuale capo negoziatore del team iraniano per la vicenda del nucleare, e si è sempre caratterizzato per la sua intransigenza. Se egli diventerà presidente la politica sul nucleare a Teheran non subirà mutamenti rispetto all'attuale governo. 
Detto ciò bisogna dire che le sanzioni adottate dalla comunità internazionale per evitare che l’Iran acquisisca armamenti nucleari non sono una soluzione razionale alla questione. Oltre a non persuadere l’Iran dal continuare l’ampliamento del proprio programma nucleare civile, esse contribuiscono a porlo in un clima d’isolamento internazionale, soprattutto dal punto di vista economico. Inoltre, le sanzioni, essendo mirate a indebolire le esportazioni di greggio, danno un maggior incentivo all’Iran per continuare a espandere il proprio programma nucleare. Secondo la dirigenza della Repubblica Islamica infatti, il programma nucleare rappresenterebbe un’importante fonte energetica alternativa che permetterebbe all’Iran di diminuire il consumo interno continuando ad esportare petrolio. C’è una differenza fondamentale tra le sanzioni unilaterali imposte dagli USA contro l’Iran e quelle adottate dalle Nazioni Unite e dall’Europa. Le prime non hanno bisogno di alcuna giustificazione; sono infatti motivate dall’ostilità storica che esiste tra gli USA e l'Iran, sorta dopo la Rivoluzione islamica del 1979. In altre parole, è la natura stessa dello stato iraniano a giustificare le sanzioni statunitensi in quanto gli USA hanno un interesse a rovesciare lo stato legittimo di Tehran. Le sanzioni adottate dalla comunità internazionale hanno invece un altro fine: sospendere il programma ed evitare che l’Iran acquisisca armamenti atomici. Gli organismi internazionali non sono mai riusciti a provare con certezza che il programma nucleare iraniano sia a carattere militare. In pratica si chiede all'Iran di provare la propria colpevolezza. Si chiede quindi all'accusato di provare una cosa che dovrebbe provare l'inquisitore, ma siccome quest'ultimo non ha le prove, si fa questa richiesta all'accusato. Quel che è certo è che le sanzioni non stanno facendo cambiare direzione al governo iraniano, il quale continua ad essere più che deciso a raggiungere l’autosufficienza energetica. Fin da quando gli USA iniziarono a finanziarlo nel 1957, il programma nucleare ebbe lo scopo di produrre una fonte energetica alternativa che riducesse la dipendenza dell’Iran dal settore petrolifero. Da quel momento in poi, tutti i governi che si susseguirono, dallo Scià Mohammed Reza Pahlavi all’Ayatollah Ruhollah Khomeini e i suoi successori, portarono avanti con convinzione questa idea, percependo l’energia nucleare come un investimento a lungo termine di vitale importanza per il futuro dell’Iran. Ciò è stato confermato anche dall'attuale dirigenza iraniana. L’Iran ospita circa il 10% delle riserve mondiali di greggio e può vantare di essere il secondo maggior produttore di petrolio dopo l’Arabia Saudita all’interno dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), esportando circa due terzi dei quattro milioni di barili che produce ogni giorno. Per capire l’importanza che detiene il settore petrolifero all’interno dell’economia del paese è sufficiente sapere che le esportazioni di greggio fanno capo all’80% delle esportazioni totali e che da esse deriva il 50% delle rendite totali dello stato. Tuttavia, come risaputo, le riserve mondiali di petrolio si stanno velocemente prosciugando; un’indagine condotta da Jeremy Rifkin stima che il greggio iraniano terminerà fra una cinquantina d’anni. Questo dato allarmante deriva dal fatto che la popolazione iraniana è duplicata negli ultimi trentacinque anni, portando ad un drastico aumento nel consumo interno di energia, la quale per l’appunto dipende per gran parte dal petrolio. Il punto è che l’Iran, pur essendo potenzialmente dotato d’immense risorse petrolifere, ha scarse capacità di raffinazione ed è quindi costretto a importare grosse quantità di derivati, carburanti vari, benzina e gasolio. Anche se alcune recenti riforme messe in atto dal governo di Ahmadinejad hanno migliorato la capacità di raffinazione, la dipendenza iraniana dall’oro nero rimane dannosa per il paese. Nel 2010 la EIA (Energy Information Administration) ha stimato che le importazioni di petrolio raffinato costituivano il 70% delle importazioni totali del Paese. Riepilogo, l’Iran esporta una quantità di greggio pari all’80% delle sue esportazioni totali, per poi ricomprarne una notevole quantità, equivalente al 70% delle importazioni nazionali, ad un prezzo molto più elevato. La domanda interna non solo minimizza le potenzialità di guadagno che il petrolio potrebbe portare al paese, ma rende l’Iran inefficiente dal punto di vista dell’autosufficienza energetica.  Le sanzioni internazionali, come anche quelle unilaterali decise dagli USA, hanno principalmente due obiettivi: bloccare l’acquisizione di uranio e tecnologie utili al programma nucleare e isolare l’Iran per quanto riguarda il commercio di petrolio. La ragione per cui si è deciso di colpire il settore petrolifero sta nell’importanza che esso ricopre nell’economia iraniana. Colpendolo al cuore, il governo sarà costretto ad assecondare le pretese della comunità internazionale se non vuole perdere il supporto popolare e mandare in bancarotta il paese. Questo è quello che probabilmente pensano i governi occidentali. Negli ultimi anni, l’amministrazione Obama ha drasticamente incrementato la portata della politica sanzionatoria. E’ severamente punita qualsiasi persona che faccia un investimento consistente nell’industria petrolchimica iraniana, o che fornisca l’Iran con servizi, beni, tecnologie o informazioni riguardanti la produzione di derivati del petrolio, o che contribuisca in qualche modo ad accrescere la capacità iraniana di importare carburante. Considerando che il petrolio è d’importanza strutturale nell’economia iraniana e che la domanda interna non è di gran lunga soddisfatta dall’offerta che le enormi riserve petrolifere possono attualmente fornire, le sanzioni stanno avendo un effetto negativo per il paese, soprattutto nel breve periodo. In aggiunta l'Iran ha dei seri problemi per quello che riguarda la possibilità di eseguire transazioni bancarie con l'estero. L'effetto principale è la svalutazione della moneta locale, e quindi il drastico aumento dell'inflazione, attualmente intorno al 30%. Ciò ha provocato un aumento dei prezzi, che ha messo in difficoltà soprattutto il ceto medio-basso iraniano e i lavoratori dipendenti. Il problema è che danneggiando il settore petrolifero, Tehran non cambierà mai idea sul programma nucleare. In questo momento il petrolio non rappresenta una fonte di ricchezza per l’Iran, ma piuttosto un problema grave da risolvere. Non avendo una degna alternativa e non potendo scegliere, Tehran non ha via d’uscita. Le sanzioni non gli stanno “insegnando” qualcosa, quanto piuttosto lo stanno spingendo a promuovere delle politiche improntate all'autosufficienza energetica. Senza il settore petrolifero, l’Iran perde la principale fonte di reddito del paese. D’altro canto, Tehran è obbligato a cercare un’alternativa al petrolio per sussistere e l’energia nucleare ne risulta la storica candidata. Oggi più che mai il programma nucleare rappresenta la via d’uscita da questa difficile situazione. Se prima l’energia nucleare era la soluzione al problema-petrolio, oggi è diventata l’unica alternativa possibile. Il recente viaggio di Ahmadinejad in Africa Occidentale per siglare accordi di cooperazione nel settore energetico lo dimostra. Il tour del Presidente Iraniano ha riguardato il Benin, il Ghana e il Niger; stati che sono tra i maggiori produttori di uranio al mondo. L’agenda dell’incontro comprenderà  “Educazione, agricoltura, ma soprattutto energia” ha dichiarato il Ministro degli Esteri del Benin. Il governo di Tehran sta cercando di stringere patti commerciali e alleanze politiche con stati facenti parte del Movimento dei paesi non allineati e con chiunque non appoggi le sanzioni decise dagli USA e dall'Unione Europea. L’Iran non si trova in un bivio in cui può scegliere tra il continuare a subire le sanzioni o sospendere il proprio programma, ma è obbligato per sopravvivere e per sviluppare la propria economia, e quindi per creare benessere per la popolazione, a continuare sulla strada del nucleare. Tehran ha da sempre bisogno del nucleare e le sanzioni non fanno altro che incentivare questa necessità. Tutto ciò è un controsenso perché gli occidentali vorrebbero che l’Iran mettesse fine al suo programma nucleare, che però non può essere sospeso perché le sanzioni stanno bloccando la ragione per cui il programma esiste e cioè il petrolio. Il programma nucleare non è uno sfizio dell’attuale governo, ma una questione di vitale importanza per tutto il paese e per gli iraniani. Penso che i dirigenti iraniani anche in futuro non cambieranno politica e il programma nucleare continuerà a svilupparsi. Continuando di questo passo non si farà altro che peggiorare il clima di ostilità che esiste tra l’Occidente e l’Iran, e le possibilità per instaurare un dialogo e arrivare a un accordo condiviso saranno sempre più remote. D'altronde ciò avvicinerà ulteriormente l'Iran ai paesi asiatici, africani e centro e sud-americani, e di fatto porrà le basi allo sviluppo ulteriore del mondo multipolare, tanto temuto dagli USA. La popolazione iraniana quindi, nonostante le difficoltà per le sanzioni, comprende bene l'irrazionalità delle sanzioni, e ciò provoca una sensazione di ingiustizia diffusa, che però ha come risultato l'aumento dell'odio nei confronti delle potenze internazionali arroganti, responsabili diretti di queste ingiuste sanzioni economiche. 

Questo è il testo dell'intervento del ricercatore e collaboratore del Centro Studi Eurasia-Mediterraneo Ali Reza Jalali, all'incontro organizzato il 3 giugno del 2013 a Parigi dall'Accademia di Geopolitica (http://www.academiegeopolitique.com/), riguardante le sanzioni economiche all'Iran. Il testo è tradotto e adattato dall'originale in lingua inglese. 

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